Anche se datato, Da Malthus al razzismo verde di Antonio Gaspari, non perde mai di attualità, poiché i temi ecologici oggi sono molto presenti nel pubblico dibattito. Se da una parte, giustamente, ci si preoccupa per la cura della nostra casa comune, dall’altra si ignorano quasi completamente le ombre e le molteplici ambiguità insite nel pensiero di scienziati, naturalisti e studiosi che possono essere considerati i padri dell’odierno ambientalismo.
Per questo l’autore ha raccolto nel suo libro numerose biografie di coloro che hanno influito sul nostro modo di pensare la questione ambientale, mettendone in luce alcune contraddizioni. Si parte da Robert Malthus (1766-1834), un pastore anglicano, noto per le sue teorie sulla popolazione. Secondo Malthus, la popolazione tende a crescere in progressione geometrica (1,2,4,8, ecc.) mentre le risorse crescono in progressione matematica (1,2,3,4, ecc.). Per Malthus, ciò avrebbe portato nel tempo a una penuria di risorse se non si fosse intervenuti per tempo. La soluzione, secondo il pastore anglicano, doveva essere necessariamente quella del controllo delle nascite, cioè mantenere basso e costante il numero della popolazione mondiale.
Malthus sembrava ignorare il fatto che l’uomo, attraverso la sua intelligenza e l’uso della tecnologia, riesce a migliorare le proprie condizioni di vita e che dunque l’essere umano non può essere considerato un problema. Inoltre, la sua teoria apriva le porte a inquietanti domande: come si sarebbe attuato il controllo delle nascite? Chi avrebbe dovuto rinunciare a riprodursi? E chi invece avrebbe avuto il diritto di perpetuare la specie?
Ispirandosi alle teorie di Malthus, Charles Darwin (1809-1882) formulò la teoria dell’evoluzione, secondo la quale gli esseri viventi si evolvono attraverso la selezione naturale: solo i più forti resistono, mentre i più deboli soccombono.
Molto spesso si pensa, in modo semplicistico, che la Chiesa non abbia accolto la teoria dell’evoluzione perché essa declasserebbe a “favoletta” la storia di Adamo ed Eva e, conseguentemente, farebbe venir meno l’origine divina della famiglia umana. In realtà la Chiesa si è subito preoccupata per le conseguenze morali e antropologiche della teoria dell’evoluzione perché questa avrebbe potuto giustificare e alimentare, come poi di fatto è accaduto, le diseguaglianze fra gli uomini.
Francis Galton (1822-1911), sulla scia delle teorie del cugino Darwin, pensò che la selezione naturale dovesse ora essere portata avanti dall’uomo al fine di migliorare la specie umana: solo i migliori dovevano riprodursi, mentre ai cretini e agli idioti tale possibilità doveva essere preclusa. Galton chiamò questa selezione artificiale eugenetica.
È impressionante come le idee di Darwin e Galton furono accolte ed utilizzate allo stesso tempo da liberali, socialisti e nazisti in paesi assai diversi fra loro come Stati Uniti (primo paese ad adottare una legge ispirata all’eugenetica nel 1907), Svezia (una legge eugenetica fu in vigore dal 1934 fino addirittura al 1976) e Germania (la legge risale al 1933 e fu uno dei primi provvedimenti presi da Hitler).
La teoria dell’evoluzione influenzò anche Herbert Spencer (1820-1903) che l’applicò in campo economico e sociale dando vita al darwinismo sociale. Secondo Spancer, lo stato non deve intervenire in maniera sussidiaria per difendere i poveri, i deboli e gli ammalati, perché si andrebbe ad aiutare la parte più infima della società, consentendole di sopravvivere. Dunque, secondo Spencer, gli svantaggiati dovrebbero essere abbandonati al loro destino al fine di fare emergere solo la parte forte della società.
A questo modello “anti-solidale” non sfuggì neppure Ernst Haeckel (1834-1919), lo scienziato che coniò il termine “ecologia”. In un passo della sua Storia della creazione naturale afferma che il modello di sviluppo delle odierne società si dovrebbe basare su quanto messo in pratica nella antica città di Sparta, dove tutti i bambini deboli, ammalati o fisicamente inidonei venivano soppressi.