Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

Nel nostro Paese è sempre più crescente l’interesse verso le icone. Ne è prova il fatto che ogni anno se ne realizzano fra i 10.000 e i 15.000 esemplari: un numero davvero impressionante! Per conoscere più da vicino questo affascinante mondo, abbiamo intervistato Ivan Polverari, uno dei più noti iconografi italiani e membro della Compagnia di San Giovanni Damasceno, il gruppo facebook che raccoglie quanti sono interessati a diffondere la religione attraverso l’arte.

Come è nata questa passione?

E’ sempre molto difficile rispondere a questa domanda, sono convinto che siano le icone ad aver incontrato me, attraverso le situazioni e le molte persone che Dio ha messo sul mio cammino.

Il mio primo incontro è stato grazie ai racconti della prigionia, nell’isola di Rodi, di mio nonno materno. Mi narrava di come ogni giorno andasse in una piccolissima chiesa ortodossa, a portare, davanti ad una icona della Vergine, dei fiori dentro i bossoli delle munizioni, chiedendoLe il ritorno a casa sano e salvo, e così è stato.

Poi la vera e propria svolta è avvenuta all’età di 12 anni. Ricordo che stavo guardando un programma televisivo su di un monastero greco, la telecamera si posò su un’icona della Vergine con il Bambino: quei pochi fotogrammi, in cui i Suoi occhi si posarono sui miei, hanno segnato tutta la mia vita.

In ultimo, vorrei ricordare i miei maestri, a cominciare dal mio professore di educazione artistica della scuola media, il Prof. Biagiotti di Urbino, che per primo intuì una mia propensione per l’arte medioevale.

Inoltre, il primo corso a Ravina di Trento, nel 1992, con il maestro Fabio Nones, il contatto epistolare tenuto con suor Junia, iconografa del Monastero russo Uspenskij di Roma e, infine, i corsi con il Maestro P. Andrey Davidov.

La sua attività iconografica si ispira soprattutto alle icone romane. Perché proprio questa scelta ? Potrebbe ricordare ai nostri lettori quali sono e dove si trovano?

Nel mio percorso di studi, mi sono accorto di come l’arte bizantina, a cui era ed è rivolto tutto il mio interesse, non provenisse dal nulla ma avesse come retroterra, formale e culturale, l’arte classica.

Fu proprio il maestro Davidov, che mi fece scoprire quanto fosse grande e splendido il deposito iconografico italiano: a cominciare dall’arte paleocristiana, proseguendo con gli splendidi mosaici Ravennati e, continuando, con tutta la stagione pittorica medioevale.

Attraverso questo itinerario mi sono sempre più convinto di quanto fosse importante il patrimonio artistico della Chiesa Indivisa, a cui sempre più spesso guardano anche le Chiese Ortodosse.

A quell’infinto tesoro dovevo attingere, per poter proporre icone, che non fossero soltanto il prodotto di un “pio esercizio pittorico” o di un esotismo di moda, ma immagini efficaci e riconoscibili adatte per la preghiera liturgica del popolo di Dio, che è a Roma, inserite in un contesto che non è confessionalmente Ortodosso.

Così sono partito dall’arte russa, che mi ha iniziato alla pittura delle icone, e, a ritroso, sono arrivato alla grande stagione pittorica di Roma. Ora, nel mio modo di dipingere, si possono notare i riferimenti al mondo classico, tardo ellenistico e paleocristiano. La conoscenza delle Icone Romane più antiche, dei mosaici e degli affreschi sono per me una continua fonte di ispirazione.

Vorrei ricordare, brevemente, le sei Icone più antiche dell’Urbe e alcuni affreschi situati in alcune Basiliche e Catacombe: l’icona della Madre di Dio “Hodigitria”, (ultimo quarto del VI sec.), conservata presso la Basilica di Santa Maria Nova o Santa Francesca Romana; l’immagine della “Madre di Dio Hodigitria” (609 c.a.), conservata nella Chiesa di Santa Maria ad Martyres (Pantheon); la Madonna di San Sisto o Santa Maria in Tempuli, (sec. VII-VIII), venerata presso la Chiesa del Monastero di Santa Maria del Rosario a Monte Mario; l’icona della Madonna della Clemenza, (fine VI, inizi VIII sec.), venerata nella Basilica di Santa Maria in Trastevere; l’Icona della Madre di Dio, conosciuta come “Salus Populi Romani” (circa del VII sec.) con ridipinture del XII e XIII sec., venerata presso la Basilica di Santa Maria Maggiore.
Infine l’Icona di Cristo detto “Acheropita Lateranense” (circa del sec. VI-VII), venerata nel Sancta Sanctorum in Laterano.

Per quanto riguarda i Mosaici vorrei ricordare quelli della Basilica dei Santi Cosma e Damiano, (sec. VI), di Santa Prassede, (sec. VIII), di Santa Maria in Domnica, (sec. VIII), e di Santa Pudenziana, (sec. VI).

Meravigliosi sono gli affreschi, riportati all’originale splendore da un recente restauro, della Basilica di Santa Maria Antiqua al Foro Romano,( sec. V-VII), e quelli che si trovano nelle Catacombe di Comodilla,(527-528).
L’elenco è indubbiamente incompleto, anche perché il patrimonio iconografico romano, paleo cristiano e altomedievale, è vastissimo.

È coinvolto in attività volte a far conoscere la spiritualità delle icone?

Si, sono co-fondatore, insieme agli iconografi Alfonso Caccese, Antonio De Benedictis, Claudia Rapetti , all’Architetto Diego Sabatino e al Rev. Don Domenico Repice, dell’associazione “In Novitate Radix”. Ci occupiamo dello studio, della rivalutazione e della attualizzazione del patrimonio iconografico cristiano, romano e altomedievale, attraverso incontri, scambi e cooperazioni tra iconografi e docenti delle diverse Università Pontificie presenti a Roma.

Pur partendo da esperienze differenti, siamo giunti alla conclusione della necessità di dare un fondamento, non soltanto tecnico, ma anche culturale, al nostro operato di iconografi, per poter proporre un’arte sempre più autenticamente Cristiana legata alla Scrittura, alla Liturgia e ai Padri.

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