Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

“Ratzinger al Vaticano II” è un agile volume delle  edizioni San Paolo nelle quali il giornalista Gianni Valente ripercorre  gli interventi del futuro pontefice in quello che è universalmente considerato l’evento storico religioso più importante del XX secolo. Il libro fa seguito a un altro scritto sempre dallo stesso autore nel 2008 dedicato all’attività accademica del brillante teologo: “Ratzinger professore”.

Ratzinger è un giovanissimo docente dell’Università di Bonn quando prende parte alla prima sessione del Concilio in qualità di perito privato del cardinale arcivescovo di Colonia Frings. Già a partire dal termine della prima sessione viene nominato perito conciliare e in tale veste contribuirà alla redazione dei più importanti documenti conciliari.

L’autore narra in modo scorrevole il succedersi dei fatti, non disprezzando, di tanto in tanto, di inserire i ricordi personali tratti dai diari privati di alcuni protagonisti del Concilio. Desta per esempio un sorriso la descrizione che il Cardinale Siri fa di un testo redatto da Ratzinger considerato “al massimo buono per scrivere una lettera pastorale, stile lettera a Diogneto, e non degno di essere equiparato a un testo conciliare”. Sappiamo come andò a finire: l’arcivescovo di Genova  partecipò in tutto a 4 conclavi uscendone sempre cardinale, mentre Ratzinger…

Un’altra curiosità riguarda una presa di posizione di Ratzinger, successiva all’evento conciliare. Nel 1969 sottoscrive un appello di alcuni professori di Tubinga che propongono di stabilire una durata massima di otto anni per l’esercizio del ministero episcopale. Visti gli sviluppi di questi ultimi mesi, sembra che Joseph Ratzinger, divenuto Papa, abbia quasi tenuto fede a quanto asserito alla fine degli anni ’60

L’opera del professore di dogmatica si inserisce nello scontro fra quelle che sono state chiamate “la minoranza conservatrice” e la “maggioranza progressista”. Più che usare questo linguaggio mutuato dalla politica, si dovrebbe parlare di due sensibilità ecclesiologiche diverse, la prima più preoccupata a conservare il depositum fidei, l’altra più desiderosa di tradurlo in formule maggiormente accessibili per l’uomo contemporaneo. Fra queste due correnti Ratzinger si può ascrivere alla seconda, seppur con alcuni distinguo.  E questa può essere per il lettore una prima sorpresa: quello che spesso è stato percepito dalla massa come un conservatore, in realtà durante i lavori del Concilio lavorò per rinnovare in modo decisivo il volto della Chiesa.

Dalla lettura del libro emerge come in realtà nella vita di Joseph Ratzinger non ci sia una vera e propria svolta in senso conservatore dopo gli anni del Concilio, ma anche durante l’evento conciliare egli non condivise la visione eccessivamente ottimista dei suoi colleghi teologi e di quanti erano di tendenza progressista e sognavano l’inizio di una Nuova Chiesa. No, Ratzinger rimase fedele al senso letterale dell’aggiornamento voluto da Giovanni XXIII che voleva trasmettere il contenuto di sempre in uno stile adatto ai tempi. Nell’euforia generale degli anni ’60, il professore tedesco rimase con i piedi per terra.

Uno dei temi più importanti trattati durante l’assise conciliare fu quello della collegialità, inserito nel più ampio schema De Ecclesia. L’autore mette bene in mostra come il Concilio Vaticano I avesse esaltato il primato del vescovo di Roma, in linea con il magistero pontificio degli ultimi secoli, ma non aveva trattato dell’episcopato, anche a causa dell’irruzione dei piemontesi nella Città Eterna che aveva di fatto provocato l’interruzione del Concilio. La minoranza vedeva nella dottrina della collegialità un potenziale pericolo per il primato petrino.  Tale preoccupazione era sostenuta anche dalla presunta mancanza di un fondamento scritturistico. In una nota scritta ad hoc, Ratzinger faceva notare fra l’altro come neppure le parole “primato” e “infallibilità” siano contenute nella Scrittura!

Connesso al tema della collegialità è quello della sacramentalità dell’ordine sacro. Anche su questo versante, fra membri della minoranza e quelli della maggioranza non c’era una visione unanime. Mentre i primi sostenevano che si entra a far parte del collegio episcopale per mezzo dell’assegnazione del Papa ad una diocesi, gli altri invece ritenevano sufficiente la sola consacrazione episcopale. Come si inserisce in questo dibattito il futuro Pontefice? Secondo Ratzinger le due cose non si escludono a vicenda, anzi, possono e debbono coniugarsi in maniera tale che con la consacrazione si entra a far parte del corpo episcopale e l’assegnazione alla diocesi rende manifesta la comunione dei vescovi con quello di Roma.

In questi come in altri interventi citati nel libro, si vedono le doti di straordinario equilibrio tenute dal perito conciliare Ratzinger. L’autore mette in evidenza come la caratteristica che contraddistingue il giovane professore tedesco sia quello di non farsi trasportare dall’euforia del momento e di agire sempre e soltanto per l’esclusivo bene della Chiesa. Il quadro che Valente ci mostra è quello di un uomo intenzionato a far risplendere sul volto della Chiesa quella luce che solo il suo Signore può donarle.  Egli si allinea alla maggioranza solo quando vede che questa oppone il respiro intero della tradizione e della fede contro una teologia la cui memoria sembra tornare indietro solo fino al Concilio Vaticano I o a quello di Trento.

Nell’ultima parte del libro dedicata agli anni del post-concilio, particolarmente interessante a nostro avviso è una citazione di un discorso che Ratzinger svolge a Foggia nel 1985 quando ormai è divenuto cardinale. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede si espresse in questo modo: “Alla chiesa appartiene essenzialmente l’elemento del ricevere, così come la fede deriva dall’ascolto e non è il prodotto di proprie riflessioni o decisioni. La fede infatti è incontro con ciò che io non posso escogitare o produrre con i miei sforzi, che mi deve appunto venire incontro. Questa struttura  del ricevere, dell’incontrare la cgiamiamo sacramento. E appunto per questo rientra nella struttura fondamentale del sacramento il fatto che esso venga ricevuto e che nessuno se lo possa conferire da solo… La Chiesa non si può fare, ma solo ricevere”. In un tempo come quello di oggi in cui molti, sia dentro che fuori dalla Chiesa, propongono soluzioni per la Chiesa, Ratzinger ci ha ricordato che ad essa non ci si può avvicinare con lo spirito di manager aziendali, ma che essa è una realtà preesistente a noi e che continuerà ad esistere dopo di noi e che il miglior atteggiamento è l’adesione e il desiderio di scoprirne e vivere il mistero. Un libro dunque molto utile quindi, del quale si può vivamente consigliare la lettura  in questo anno della fede.

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