Archivi del mese: maggio 2019
Se nel nostro territorio diocesano sono numerosi gli edifici riaperti al culto grazie agli interventi di restauro resi necessari dopo gli eventi sismici del 2016, non si può dire la stessa cosa per l’intera regione Marche. È quello che emerge da quanto ci ha detto Mons. Stefano Russo, Segretario Generale della Cei e fino al mese scorso Vescovo della diocesi di Fabriano-Matelica.
In che condizioni sono i beni culturali di pertinenza ecclesiastica colpiti dal terremoto? Come procede la loro ricostruzione?
Tutte le diocesi si sono date da fare per collaborare affinché si arrivasse a un piano condiviso di intervento. Pertanto è stato fatto un lavoro straordinario da parte delle diocesi di inventariazione e catalogazione del patrimonio devastato, in collaborazione anche con gli enti e le istituzioni pubbliche. Adesso siamo bloccati rispetto alla ricostruzione delle chiese che stenta ad avviarsi: sono stati fatti dei lavori di messa in sicurezza, ma la ricostruzione vera e propria non ha avuto ancora inizio. Speriamo che la situazione si sblocchi e che non sia necessario aspettare ancora tanto tempo, perché comunque parliamo di oltre 2000 edifici di culto resi inagibili a causa degli eventi sismici che si sono verificati nel 2016.
Quale è stata la reazione della popolazione dei territori colpiti dal sisma in particolare rispetto ai beni artistici della propria terra?
La gente che abita questi territori è fortemente appassionata: ce lo dimostrano le tante storie di persone che, nonostante abbiano avuto il proprio paese devastato, sono rimaste lì vicino ai loro luoghi. Questo attaccamento alla propria terra deve comunque essere accompagnato da azioni di ricostruzione, soprattutto nei luoghi più significativamente colpiti, affinché le persone possano tornare lì e non trovare soltanto una casa, ma delle forme e dei motivi di sussistenza. Si tratta di un lavoro in parte iniziato, ma che deve essere necessariamente accelerato.
C’è qualche edificio interessato dal terremoto che le sta particolarmente a cuore?
Anche se sono amministratore di Fabriano-Matelica, dove abbiamo comunque avuto diversi danni, sono originario del Piceno, un territorio che ha avuto paesi rasi a terra. Ci sono edifici che sono stati messi in sicurezza come la Madonna del Sole a Capodacqua e che certamente costituisce un bene che è stato salvaguardato. Ci sono invece edifici in cui non è stato possibile fare ciò, come ad esempio Santa Maria in Pantano, in località Montegallo: questa chiesa che aveva un grandissimo valore da un punto di vista storico, artistico e paesaggistico, perché è inserita proprio in mezzo alle montagne, praticamente non c’è più.
Martedì 21 maggio presso la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, luogo di culto a pochi passi da Piazza di Spagna, è stato presentato il volume Salvare l’Europa. Il mistero delle dodici stelle scritto dal vaticanista del Tg2 Enzo Romeo. Sono intervenuti Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Ernesto Preziosi, storico del Movimento Cattolico. L’incontro è stato moderato dal giornalista Mimmo Sacco e ha visto la presenza di Andrea Monda, direttore de L’Osservatore Romano, e Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, Arcivescovo di Reggio Calabria – Bova. Per conoscere meglio la genesi e il significato di questo libro, L’Ancora ha intervistato l’autore.
Quali sono le circostanze che l’hanno portata a scrivere questo libro?
Ci stiamo avvicinando a un appuntamento molto importante e delicato, quello delle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo discutendo con gli amici della casa editrice Ave (che è l’editrice dell’Azione Cattolica Italiana, ndr) abbiamo pensato che offrire un’occasione di riflessione sull’Europa partendo anche da un dato di appartenenza cristiana fosse utile. Io avevo nel cassetto da tanti anni del materiale che avevo recuperato a Strasburgo presso gli archivi del Consiglio d’Europa che mi permettevano appunto di ricostruire la storia della bandiera europea, quella che tutti conosciamo e che ha 12 stelle su sfondo azzurro. Da questi documenti emerge un dato che pochi conoscono e cioè che questo simbolismo si richiama alla devozione mariana dell’Immacolata Concezione.
In questa ricerca che lei ha svolto, c’è qualche particolare che l’ha colpita maggiormente?
La storia è costruita da tante casualità che però in una chiave di credenti diventano segni della Provvidenza. A me ha colpito molto che per una serie di moltissime circostanze la bandiera fu adottata l’8 dicembre 1955, proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa dell’Immacolata Concezione. Nessuno lo aveva preventivato e nessuno tra coloro che erano incaricati di votare l’adozione della bandiera aveva in mente questa cosa, eppure avvenne così. Scovando le carte e leggendo lo scambio di lettere, si capisce che alcuni che avevano lavorato per l’adozione di questa bandiera in cuor suo sperava che questo avvenisse. Non ci fu mai un’esplicitazione di questo perché non si voleva dare una coloritura confessionale.
Che valore ha il suo libro nell’attuale dibattito culturale nel quale c’è un vivace confronto fra i sostenitori dell’identità e quelli dell’accoglienza?
È indispensabile che noi non neghiamo quelle che sono le radici cristiane, anzi, dobbiamo valorizzarle. Però bisogna capirsi su un fatto: cosa vuol dire recuperare la propria identità cristiana? Vuol dire sguainare una spada per colpire qualcuno, un presunto avversario, un nemico, un concorrente oppure significa essere più inclusivi, più accoglienti e quindi costruire un’Europa più ispirata all’insegnamento del Vangelo?
Da protagonista del mondo dell’informazione, secondo lei in questa campagna elettorale si è veramente parlato di Europa oppure il dibattito si è appiattito su questioni nazionali?
Si è parlato di Europa però partendo sempre dai propri problemi e in un certo senso è anche giusto così, però io segnalo questa contraddizione: da una parte si accusa l’Europa di essere una grande ed inutile macchina burocratica che non solo non ci aiuta a risolvere i problemi, ma che vuol farci i conti, ci toglie sovranità, respiro dall’altra però è all’Europa che si chiede la soluzione dei problemi che ci angosciano. Come fare a mettere insieme queste due cose? L’ho notato durante la campagna elettorale, ma lo noto anche in quello che è l’umore delle persone. Probabilmente sono le grandi paure di questo momento che spingono ad avere questa visione. Si capisce poi che senza una visione alta di approccio comunitario ai problemi, questi problemi sono irrisolvibili nella società globalizzata nella quale viviamo