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Archivi del mese: maggio 2015

ROMA – Mercoledì 13 maggio alle ore 19.00 presso la parrocchia San Roberto Bellarmino è stato presentato il volume La Parola secondo Giovanni. Riflessioni sul lessico del quarto Vangelo del Prof. Tito Pasqualetti, prima docente di lettere classiche presso il Liceo Classico Leopardi e poi preside del Liceo Scientifico di San Benedetto del Tronto.

Si è confrontato col l’autore don Enrico Ghezzi, noto biblista e insigne studioso dell’opera giovannea. L’incontro è stato moderato dal Prof. Sergio Ventura, docente di Religione Cattolica presso il Liceo Classico Tasso.

Pasqualetti ha esordito raccontando come sia nato il libro: a seguito del suo pensionamento, ha avuto modo di leggere il Vangelo di Giovanni nell’originale greco. Si è trattato di una seconda lettura, visto che, all’inizio della sua carriera, aveva scelto di far leggere delle pagine di Giovanni ai suoi alunni del ginnasio in un’edizione pubblicata dalla Sei.

Il volume, seguendo la narrazione evangelica, analizza il significato dei termini più importanti usati da Giovanni. Pasqualetti si è avvicinato al testo con un approccio letterario e filologico rilevando come i vocaboli di Giovanni, in molti casi, conservino i significati del greco classico, mentre, in altri, assumono una connotazione originale oppure sono proprio inventati dal quarto evangelista.

Ad esempio, la parola “doxa“, che nel greco classico vuol dire “opinione”, in Giovanni assume il significato di “gloria”. Oppure Giovanni ha inventato il sostantivo “agape” (=amore). Infatti, nel greco classico esiste solo il verbo “agapao”, ma col significato di “salutare”.Si può dunque affermare, senza timore di essere smentiti, che col vangelo nascono una nuova lingua e un nuovo pensiro.

Un tale approccio permette di avvicinare maggiormente la mente dell’autore del quarto vangelo. Il Prof. Pasqualetti ha sottolineato come questo tipo di lavoro consenta una comprensione più profonda e una maggiore aderenza al testo originale. Lo studioso ha portato a titolo d’esempio un episodio personale.

Quando era bambino al catechismo, ascoltando la parabola del figliuol prodigo (nel vangelo di Luca), aveva sentito che il protagonista del racconto si cibava di ghiande. Ha scoperto poi che nell’originale greco si parla invece di carrubbe, un cibo sicuramente molto più gustoso del primo!

Ma passando dalle carrubbe a un nutrimento molto più importante per il cristiano, quello eucaristico, il Prof. Pasqualetti ha sottolineato come nel sesto capitolo ci si imbatta nel verbo “trogo” che propriamente vuol dire “rosicchiare” ed è riferito alla carne che Gesù darà per la salvezza del mondo. Ciò indica lo stile realistico del linguaggio di Giovanni che a volte non disprezza l’uso di parole di uso popolare.

Ha preso poi la parola don Enrico Ghezzi che ha fornito una lettura teologica sottolineando come già dal secondo secolo, con Clemente Alessandrino, il Vangelo di Giovanni sia stato definito spirituale: esso racconta in primo luogo dell’intimità fra Gesù e suo Padre, la stessa intimità che Gesù partecipa ai suoi discepoli. Infine questo amore dei discepoli diventa fonte di evangelizzazione.

Don Ghezzi si è poi soffermato sulla parola Logos, domandandosi come mai Giovanni abbia usato proprio questo termine e non, ad esempio, Sophia (=Sapienza). Il biblista ha sottolineato come questo vocabolo sia una sorta di ponte fra il cristianesimo e la cultura greca diffusa nel Mediterraneo e in particolare nell’area anatolica, dove il vangelo si è formato.

Il Logos infatti era per i greci un principio spirituale immanente al mondo. Nel momento in cui Giovanni afferma che il Logos era presso Dio e che questo stesso Logos si è fatto carne, si compie un’operazione culturale straordinaria e impensabile per il mondo antico.

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GROTTAMMARE – Presso il salone Sacro Cuore della Parrocchia Sant’Agostino si è svolta la presentazione del libro Sulle strade del mondo di Enzo Farinella, collaboratore dell’Ansa e corrispondente di Radio Vaticana in Irlanda.

Il Dott. Farinella, originario della Sicilia, ma da oltre 40 anni residente a Dublino, sta concentrando tutte le sue forze per far conoscere una pagina di storia spesso molto sottovalutata, non solo in Europa, ma nella stessa Irlanda. Attraverso una serie di libri, alcuni già scritti, altri in cantiere, Farinella sta facendo riscoprire il contributo che il monachesimo irlandese ha portato all’intera Europa.

Il vecchio continente infatti, fra il V e l’XI secolo diventò cristiano grazie a tre fattori: la conversione dei re, il monachesimo benedettino e quello irlandese. Caratteristica di quest’ultimo fu la peregrinatio pro Christo: migliaia di monaci lasciarono la loro terra per diffondere il vangelo nel Europa continentale.

Fra questi possiamo ricordare San Colombano che, partito dal monastero di Bangor, attraversò la Francia, la Svizzera per concludere la sua vita a Bobbio, dove ancora riposano i suoi resti mortali. Durante la sua peregrinatio, fondò monasteri che, oltre a essere luoghi di preghiera, divennero importanti centri culturali: basta pensare che Bobbio è stata definita “la Montecassino del Nord”.

È sorprendente notare come i monaci irlandesi, ispirati dai valori del Vangelo, furono antesignani di molti temi che oggi sono al centro del dibattito pubblico. Fra i molti esempi che si potrebbero fare, il Dott. Farinella ha citato quelli di Adamnano e di Cutberto.

Il monaco Adamnano, che fu abate del monastero di Iona, a quel tempo uno fra i più importanti centri culturali e religiosi d’Europa, nel 697 emanò la Lex innocentium che proibiva di colpire donne, bambini e quanti non fossero strettamente coinvolti nelle operazioni militari in caso di guerra. Si tratta della prima forma di quello che oggi chiameremmo diritto umanitario i cui principi sono enunciati nella Convenzione di Ginevra (1949).

Invece il monaco Cutberto di Lindisfarne, ha ricordato ancora Farinella, è noto per aver emanato la prima legge a tutela dell’ambiente. Infatti in un suo scritto del 675 cercò di proteggere l’edredone, un volatile che, proprio in ricordo del nostro monaco, viene chiamato “uccello di Cuddy”. Esso nidifica ancora nei pressi del monastero di Landisfarne ed è diventato il simbolo di tutta la regione britannica.

Non essendo stata colonizzata dai romani, l’Irlanda vide diffondersi il cristianesimo senza il martirio. Quello che i romani non riuscirono a fare con le armi, i cristiani lo fecero con la forza della fede: in pochi anni tutta l’isola fu conquistata a Cristo.

Purtroppo però, ha osservato ancora Farinella, nella storia irlandese non sono mancate vicende molto dolorose, soprattutto a causa dei vicini inglesi che hanno occupato per secoli l’isola. Come è anche descritto nel libro, gli inglesi arrivarono a premiare con cinque sterline chiunque avesse portato la testa di un prete o addirittura con 10 sterline chi fosse riuscito a decollare un vescovo.

A proposito di vescovi, molti di essi furono reclusi nel XVII secolo nella colonia penale di Inisbofin. Il vescovo si Clonfert, Walter Linch, riuscì a fuggire e portò con sé un quadro della Madonna e giunse a Györ, in Ungheria. Questa tela, che ancora oggi si può ammirare nella cattedrale, il 17 marzo 1697, nel pieno della persecuzione contro gli irlandesi, pianse sangue.

Da quanto si è detto, si comprende come un po’ ovunque in Europa sia possibile trovare tracce della presenza dei monaci irlandesi. La riscoperta di questo importante apporto ci farà sicuramente sentire un po’ più europei.

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