Catechesi della bellezza
Diciamo che tutto è partito da esigenze pratiche, ma queste mi hanno aperto la strada ad una riflessione più approfondita che mi ha portato a parlare di una “necessaria didattica per immagini” quando si parla di religione.
Infatti, se si va a scavare a fondo, si noterà come il legame fra parola e immagine è un elemento costitutivo del cristianesimo. Basta pensare a due passi biblici. Il primo tratto dal prologo del Vangelo di Giovanni, l’altro dalla lettera di Paolo ai Colossesi.
San Giovanni scrive “Il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14). Con queste parole l’evangelista esprime il cuore della fede cristiana, secondo la quale l’infinito si è fatto conoscere nel limite della condizione umana, ciò che per sua natura è incontenibile ha preso una forma, ciò che non era visibile ha accettato di farsi vedere ai nostri occhi.
Che dire poi di quanto affermato da Paolo nella lettera ai Colossesi? L’apostolo delle genti scrive infatti che Cristo “è l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15).
Se il binomio parola-immagine è un elemento fondamentale nella rivelazione cristiana, esso non può essere trascurato in tutte quelle attività come la catechesi o l’irc, che, a diverso titolo, si adoperano a fare conoscere questa rivelazione.
Immergendosi nell’universo dell’arte sacra, si può avere quasi l’impressione che il fine della religione sia quello di promuovere le belle arti. Ovviamente le cose non stanno così, in quanto il compito della religione è quello di far entrare l’uomo in comunione con Dio, però è come se la religione, in preda ad un eccesso di bene, traboccasse e producesse frutti anche in campi che non sono totalmente suoi.
Credo che se volessimo sintetizzare quello che abbiamo detto con un’opera d’arte, non potremmo che scegliere il San Luca di El Greco. L’evangelista, vestito di verde, regge con una mano il libro dei vangeli, aperto verso di noi, sul quale possiamo vedere una pagina scritta a sinistra e una dipinta a destra. Il santo, con la mano destra, ci porge una penna, quasi invitandoci a continuare l’opera di scrittura del Vangelo. Sì, perché l’arte, tanto quanto la scrittura, ci interroga e ci provoca sul senso della nostra esistenza.
Don Gianluca Busi, iconografo e membro della commissione di arte sacra della Diocesi di Bologna, spiega in questo video la simbologia dei magi nel corso dei secoli. Scopriamo così che la più antica raffigurazione dei magi la troviamo nelle Catacombe di Priscilla a Roma.
Don Gianluca illustra come l’immagine dei magi venga riproposta più volte nell’arte funeraria, come ad esempio nell’epitaffio di Severo o nel sarcofago di IV secolo esposto al Museo Ambrosiano. Il sacerdote infatti spiega che c’é un forte parallelismo fra il defunto che offre la propria anima a Cristo e i magi che portano i propri doni a Gesù Bambino.
Ma troviamo il tema dei magi rappresentato anche sugli altari, in un contesto eucaristico, come quello dell’altare del Duca di Ratchis, conservato nel Museo Cristiano di Cividale del Friuli. In questo caso, secondo don Gianluca, come i magi donano l’oro, l’incenso e la mirra ricevendo a loro volta in dono Gesù Bambino dalla Vergine Maria, così, durante la celebrazione eucaristica, offriamo il pane e il vino per avere in cambio Cristo col suo corpo e col Suo Sangue.
Troviamo ancora i magi che guidano una processione di vergini nei mosaici della chiesa di San’Apollinare Nuovo Ravenna risalente al VI secolo: come i magi offrono i propri doni, così le vergini offrono tutta la propria vita a Cristo.
L’affascinante viaggio alla scoperta delle più belle raffigurazioni dei magi termina con la spiegazione dell’icona della natività di Andrej Rublev. Don Gianluca fa notare come i magi siano osservati con invidia dagli angeli, sia perché l’uomo, con la sua natura umana, sperimenta il dramma della libertà, sia perché essi vedono il Verbo di Dio che si fa uomo e non angelo.
In occasione dell’imminente Solennità dell’Immacolata Concezione, proponiamo questo video nel quale don Gianluca Busi, iconografo e membro della commissione per l’arte della Diocesi di Bologna, presenta gli schemi iconografici mariani più diffusi. I primi tre appartengono alla tradizione orientale, mentre gli altri tre a quella occidentale.
Don Gianluca parte dall’immagine di Maria detta “Odighitria”, cioè “colei che ci mostra la strada”: la madre indica il figlio, via verità e vita, e allo stesso tempo il figlio indica la madre, capolavoro della creazione.
Don Gianluca prosegue illustrando le caratteristiche della “Eleusa”, ovvero “Madre di Dio della tenerezza”. A un primo sguardo potremmo pensare che si tratti della tenerezza fra una madre e il suo bambino, ma a una lettura più attenta possiamo notare come lo sguardo della Madonna sia triste. In realtà ella sta provando tenerezza per l’umanità peccatrice verso la quale volge gli occhi.
Infine il sacerdote volge la sua attenzione al modello della “Madre di Dio del Segno”, che nella sua tipologia deriva probabilmente da un’immagine femminile pagana legata ai misteri eleusini. Questa donna cerca il divino attraversi un’estasi, che la porterà in fuga fuori dal suo mondo. Al contrario, Maria, rivolta verso Dio, genera Gesù.
Passando alla tradizione occidentale, don Gianluca si sofferma sulla scena dell’annunciazione nel suo legame con l’eucaristia, analizzando, fra le altre, quella dipinta nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Il sacerdote propone poi una riflessione sul tema dell’addolorata attraverso il dipinto di Piero della Francesca per il cimitero di Monterchi e quello di Rogier van der Weyden, custodito oggi nel Museo del Prado.
Nel transetto di sinistra riposano le spoglie mortali di Ignazio di Loyola. Esse giacciono in un’urna realizzata da Alessandro Algardi. La tomba è inserita in un contesto monumentale realizzato dal gesuita Andrea Pozzo fra il 1695 e il 1699. In alto vediamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che vegliano sul mondo, una grande sfera marmorea interamente ricoperta di lapislazzuli.
Poco sotto possiamo vedere due angeli che sorreggono lo scudo con lo stemma dei gesuiti. La grande nicchia contiene la statua in oro e argento di Sant’Ignazio, rivestito da una preziosa pianeta. La statua è “nascosta” da una tela del Pozzo che raffigura Gesù Cristo nell’atto di donare a Sant’Ignazio il vessillo della Compagnia. Un angelo mostra il libro dei vangeli a quattro personaggi, che rappresentano altrettanti continenti raggiunti dall’opera di evangelizzazione dei gesuiti.
Tutti i giorni alle ore 17.00 è possibile essere spettatori di uno straordinario “gioco” : la pala, attraverso un particolare meccanismo, viene fatta scendere e mostra la statua del santo che viene illuminata, insieme a tutto il resto della chiesa.
Sulla sinistra osserviamo un gruppo scultoreo che simboleggia il trionfo della fede sull’idolatria, opera di G. B. Théodon. La Fede, rappresentata come una donna con il calice e l’ostia, sovrasta un re pagano, al seguito del quale c’è l’idolatria. Sulla destra invece, un altro gruppo scultoreo mostra la fede, una donna con la croce in mano, che sconfigge l’eresia, opera di Pierre Le Gros.
Sia la tela del Pozzo che i due gruppi scultorei mettono in mostra la spiritualità militante di Ignazio e dei suoi figli spirituali che concepiscono la vita come una battaglia, ovviamente combattuta senza armi, per rendere maggior gloria a Dio.
Sopra la composizione del Théodon possiamo vedere una pala marmorea raffigurante l’approvazione della Compagnia di Gesù da parte di Papa Paolo III, mentre sopra quella di Le Gros, un’altra pala marmorea rappresenta Gregorio XV che canonizza Ignazio e Francesco Saverio.
Nel transetto di destra troviamo un’altra opera monumentale, realizzata su disegno di Pietro da Cortona, che accoglie la reliquia del braccio di San Francesco Saverio, collocata proprio sopra l’altare. Il grande quadro che sovrasta l’altare, opera di Carlo Maratta, rappresenta la morte di Francesco Saverio. Il Santo è raffigurato ancora nella spezzatura del timpano curvilineo mentre su una nuvola ascende verso il cielo accompagnato da molti angeli.
La parte alta del transetto è decorata da scene della vita di Francesco Saverio come il battesimo di una principessa pagana e l’episodio nel quale un granchio riporta al Santo un crocifisso che aveva perso nel mare.
Fra le cappelle laterali, vorremmo soffermarci su quella della Passione, decorata da Gaspare Celio su disegno del gesuita Giuseppe Valeriani. Essa costituisce una singolare meditazione sulla Passione di Cristo.
All’ingresso della cappella troviamo i profeti Isaia e Zaccaria che ci invitano ad entrare e a contemplare il Mistero della Passione. Sotto al primo profeta leggiamo il passo Is 30,20: “Erunt oculi tui videntes preceptorem tuum” (=i tuoi occhi vedranno il tuo maestro). Con questa frase il fedele è invitato a seguire Gesù. Sotto all’altro profeta leggiamo invece il passo Zc 12,10: “Viderunt in quem transfixerunt” (= volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto).
Nell’intradosso dell’arco che ci introduce alla cappella, possiamo vedere molte scene dell’Antico Testamento che, in un modo o nell’altro, prefigurano la croce. Adamo ed Eva colgono il frutto dall’albero proibito: come per mezzo dell’albero della conoscenza del bene e del male è venuta nel mondo la morte, così per mezzo della croce è venuta la vita.
Segue poi la scena del sacrificio di Isacco: come nell’Antico Testamento Abramo offrì in sacrificio suo figlio, così nel Nuovo Testamento Dio Padre offre suo figlio Gesù sulla croce per la salvezza del mondo. Ancora sul tema del sacrificio si sofferma un’altra immagine che descrive il sacrificio di Noè dopo il diluvio universale.
Infine un episodio dell’esodo prefigura la croce come segno di speranza: si tratta del bastone con un serpente di bronzo che Mosè innalzò nel deserto e donò vita a tutti quelli che si rivolgevano verso di esso. Allo stesso modo oggi chi guarda la croce è salvo.
Nella cappella inizia poi un vero e proprio racconto della Passione di Cristo per immagini. L’agonia di Gesù, raffigurata nella lunetta di destra, inizia nell’orto degli ulivi, dove il Signore prega e suda sangue. Lo viene a confortare un angelo, mentre Pietro, Giacomo e Giovanni si sono addormentati. Nella lunetta di fronte, Gesù viene arrestato dai soldati mentre è baciato da Giuda, il traditore.
Quattro tele ripercorrono ulteriormente le sofferenze e le umiliazioni subite da Gesù. Nella prima il Cristo viene bendato. Sotto possiamo leggere il passo Lc 22,64: “Et velaverunt eum et percutiebant faciem eius” (= lo bendarono e percuotevano il suo volto).
Nella seconda tela il Cristo è pronto per essere flagellato alla colonna. Sotto possiamo leggere il passo Gv 19,1. “Tunc ergo apprehendit Pilatus Iesum et flagellavit” (= dunque Pilato prese Gesù e lo fece flagellare).
Nella terza tela il Cristo è vestito con una tunica rossa. Sotto possiamo leggere il passo Mt 27,28: “Clamidem coccineam circumdederunt ei” (= gli misero addosso un manto scarlatto).
Nella quarta tela vediamo Gesù vestito di bianco. Sotto possiamo leggere il passo Lc 23,11. “Sprevit autem illum Herodes et illusit indutum veste alba” (= allora Erode lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì con una splendida veste bianca).
Due grandi affreschi descrivono poi le ultime ore di vita di Gesù: a sinistra possiamo vedere la salita di Gesù verso il Calvario, mentre a destra Gesù viene crocifisso. Sulla pala dell’altare possiamo ammirare la scena della deposizione: il corpo esanime di Gesù viene tolto dalla croce.
Nella volta della cappella possiamo infine vedere gli strumenti che sono stati adoperati per uccidere Gesù portati in gloria da una moltitudine di angeli: la croce, la lancia, la canna con la spugna, i tre chiodi e la corona di spine.
La chiesa del Gesù si trova nel pieno centro di Roma e rappresenta a livello architettonico il cuore della spiritualità gesuita. Il tempio infatti fu voluto dallo stesso fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola, che nel fra la fine del 1550 e l’inizio del 1551 vide la posa della prima pietra. Vari architetti misero mano al progetto, ma gli interventi più importanti si devono al Vignola e a Giacomo della Porta.
La struttura della chiesa è quella tipica degli edifici religiosi costruiti nel periodo della Riforma Cattolica: la chiesa ha una pianta a croce latina; un’unica navata, tale da favorire il raccoglimento e la concentrazione durante le sacre funzioni; sei cappelle laterali, tre a destra e tre a sinistra; e una cupola.
Si accede alla chiesa per mezzo di tre porte. Sopra quella centrale è possibile vedere il simbolo della Compagnia di Gesù, che è composto dalle lettere JHS (le prime lettere del nome di Gesù in greco), da una croce sopra la H e dai tre chiodi della croce sotto di essa. Sopra le porte laterali troviamo invece le statue di Sant’Ignazio, a sinistra, e di San Francesco Saverio, a destra.
Sulla trabeazione leggiamo la scritta “Alexander Cardinalis Farnesius S.R.E. vicecanc fecit MDLXXV (=Il Cardinale Alessandro Farnese, vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, fece costruire nell’anno 1575). Il Card. Farnese infatti fu munifico donatore verso la Chiesa del Gesù.
Portandoci all’interno della chiesa, possiamo subito ammirare uno dei massimi capolavori di Giovan Battista Gaulli: il trionfo del nome di Gesù. Il monogramma di Gesù (JHS) è adorato da una moltitudine di angeli e di santi. Fra questi possiamo notare Ignazio con i paramenti liturgici, sulla destra, e i magi, sulla sinistra.
Tutta la composizione è ispirata al verso paolino “perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (cfr. Fil 2,10-11) che è possibile leggere su un cartiglio tenuto da alcuni angeli. Infatti le figure, disposte dentro la cornice, su di essa e fuori, rispecchiano proprio la tripartizione del citato passo biblico.
I Gesuiti volevano che la loro chiesa rispondesse a criteri di funzionalità e per questo dotarono la navata di un pulpito. Avrebbero anche voluto un soffitto piatto, in modo tale da poter propagare meglio la voce del predicatore, ma in questo non furono assecondati dal pur generoso cardinale Farnese il quale preferiva una volta a botte, come quella che appunto oggi possiamo ammirare.
Spostando ora la nostra attenzione verso il presbiterio, possiamo concentrarci sulla pala dell’altare maggiore. Essa è opera del pittore romano Alessandro Capalti che ha raffigurato l’episidio della circoncisione di Gesù. Come sappiamo, durante questo rito, che avveniva otto giorni dopo la nascita, veniva dato anche il nome, in questo caso “il nome di Gesù” al quale è dedicata la chiesa. La tela, attraverso un ingegnoso meccanismo, si può abbassare e mostrare la statua del Sacro Cuore.
Portandoci ora nel transetto destro possiamo ammirare la sontuosa tomba di San Luigi Gonzaga. Quattro colonne tortili ornate da viticci, due a destra e due a sinistra, incorniciano la pala marmorea, opera di Pierre Le Gros, raffigurante il Santo portato in gloria da una moltitudine di angeli. Sotto l’altare si conserva la preziosa tomba di Luigi in oro e lapislazzuli, vegliata da due angeli che hanno in mano dei flagelli, simbolo delle mortificazioni alle quali il Gonzaga si sottoponeva. Si accede all’altare dopo aver varcato una balaustra sopra alla quale sono posizionati due angeli, opera del Ludovisi, che portano in mano dei gigli, simbolo della purezza di San Luigi. La realizzazione dell’intera opera si deve alla generosità del principe Scipione Lancellotti, il cui simbolo ricorre due volte sui basamenti delle colonne.
Sul lato opposto possiamo ammirare un’altra meravigliosa opera, realizzata sempre su disegno di Andrea Pozzo. La pala marmorea, opera di Filippo Valle, rappresenta l’annunciazione. L’Eterno Padre manda la colomba dello Spirito Santo sulla Vergine Maria dopo che questa ha detto il suo “Sì”. Gli angeli sulla balaustra sono opera di Pietro Bracci.
Se ora ci portiamo nuovamente nella navata centrale, possiamo ammirare i dipinti dell’abside. Nella calotta absidale possiamo vedere Sant’Ignazio librarsi mentre con sguardo compassionevole guarda alle umane miserie. Poco sotto a questo dipinto, vediamo un clipeo con la scritta “Ego Romae propitius ero” (=Io a Roma vi sarò propizio). Tale iscrizione si riferisce alla scena sottostante che rappresenta la visione de “La Storta”.
Racconta Ignazio nella sua Autobiografia che, trovandosi in una località a nord-est di Roma, La Storta appunto, Dio Padre gli fece intuire di averlo posto accanto a suo Figlio Gesù nell’opera di evangelizzazione e che a Roma sarebbe stato approvato l’ordine religioso che aveva fondato.
Sulla sinistra invece viene rappresentato Sant’Ignazio che manda Francesco Saverio in missione in Oriente, mentre a destra vediamo l’ingresso di San Francesco Borgia nella Compagnia di Gesù della quale diventerà terzo preposito generale dopo Ignazio e Diego Laìnez.
Se invece volgiamo lo sguardo sulla volta, possiamo vedere Ignazio che viene ferito da una palla di cannone durante l’assedio di Pamplona del 20 maggio 1521. Ignazio vede nel cielo San Pietro, vestito di giallo e di blu, con le chiavi del paradiso in mano: grazie alla sua intercessione guarirà il 29 giugno di quello stesso anno, abbandonerà le armi e diventerà un soldato di Cristo.
Spostiamoci ora nella cappella che si trova alla sinistra dell’altare. Vi troviamo il monumento funebre di Gregorio XV, ex studente del Collegio Romano e zio del Cardinale Ludovico Ludovisi, grazie al quale si deve la realizzazione di questa Chiesa. Anche il cardinale Ludovisi riposa qui. La sontuosa tomba è svelata da due angeli musicanti che lasciano vedere il Papa seduto sul trono in atto benedicente. L’imponente monumento, di scuola berniniana, si deve agli scultori Le Gros e Monnnot.
Camillo Rusconi ha realizzato in stucco le quattro virtù cardinali rappresentate da altrettante figure femminili presenti nelle nicchie. La Prudenza, che con uno specchio si guarda alle spalle, regge un serpente, che richiama il passo del Vangelo di Matteo dove l’evangelista scrive : “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (cfr Mt 16,16). La Temperanza sta mescolando l’acqua col vino. La Fortezza è rappresentata da una donna che ha uno scudo e una lancia e ai suoi piedi un leone. Infine la Giustizia è raffigurata come una donna che regge in mano una bilancia e ha ai suoi piedi un puttino che regge in mano un fascio littorio, simbolo che precedeva i magistrati nell’antica Roma.
Altre opere di Camillo Rusconi si possono ammirare nella cappella a destra dell’altare. Qui possiamo vedere una statua in gesso di Sant’Ignazio di Loyola che doveva fungere da modello per quella marmorea che ora si trova nella navata centrale della basilica di San Pietro. Possiamo inoltre vedere le virtù teologali nelle nicchie. La Speranza con l’ancora ai piedi, la Carità che allatta molti figli, la Fede col calice e la Religione con le tavole della legge, la bibbia e le chiavi del paradiso.
Ci si può domandare come mai siano state realizzate queste imponenti statue delle virtù e la risposta potrebbe essere abbastanza semplice. Uno dei compiti principali di un gesuita è quello di praticare la direzione spirituale invogliando il fedele ad essere virtuoso nella sua vita.
Portandoci ora nel transetto destro possiamo ammirare la sontuosa tomba di San Luigi Gonzaga. Quattro colonne tortili ornate da viticci, due a destra e due a sinistra, incorniciano la pala marmorea, opera di Pierre Le Gros, raffigurante il Santo portato in gloria da una moltitudine di angeli. Sotto l’altare si conserva la preziosa tomba di Luigi in oro e lapislazzuli, vegliata da due angeli che hanno in mano dei flagelli, simbolo delle mortificazioni alle quali il Gonzaga si sottoponeva. Si accede all’altare dopo aver varcato una balaustra sopra alla quale sono posizionati due angeli, opera del Ludovisi, che portano in mano dei gigli, simbolo della purezza di San Luigi. La realizzazione dell’intera opera si deve alla generosità del principe Scipione Lancellotti, il cui simbolo ricorre due volte sui basamenti delle colonne.
Sul lato opposto possiamo ammirare un’altra meravigliosa opera, realizzata sempre su disegno di Andrea Pozzo. La pala marmorea, opera di Filippo Valle, rappresenta l’annunciazione. L’Eterno Padre manda la colomba dello Spirito Santo sulla Vergine Maria dopo che questa ha detto il suo “Sì”. Gli angeli sulla balaustra sono opera di Pietro Bracci.
Se ora ci portiamo nuovamente nella navata centrale, possiamo ammirare i dipinti dell’abside. Nella calotta absidale possiamo vedere Sant’Ignazio librarsi mentre con sguardo compassionevole guarda alle umane miserie. Poco sotto a questo dipinto, vediamo un clipeo con la scritta “Ego Romae propitius ero” (=Io a Roma vi sarò propizio). Tale iscrizione si riferisce alla scena sottostante che rappresenta la visione de “La Storta”.
Racconta Ignazio nella sua Autobiografia che, trovandosi in una località a nord-est di Roma, La Storta appunto, Dio Padre gli fece intuire di averlo posto accanto a suo Figlio Gesù nell’opera di evangelizzazione e che a Roma sarebbe stato approvato l’ordine religioso che aveva fondato.
Sulla sinistra invece viene rappresentato Sant’Ignazio che manda Francesco Saverio in missione in Oriente, mentre a destra vediamo l’ingresso di San Francesco Borgia nella Compagnia di Gesù della quale diventerà terzo preposito generale dopo Ignazio e Diego Laìnez.
Se invece volgiamo lo sguardo sulla volta, possiamo vedere Ignazio che viene ferito da una palla di cannone durante l’assedio di Pamplona del 20 maggio 1521. Ignazio vede nel cielo San Pietro, vestito di giallo e di blu, con le chiavi del paradiso in mano: grazie alla sua intercessione guarirà il 29 giugno di quello stesso anno, abbandonerà le armi e diventerà un soldato di Cristo.
Spostiamoci ora nella cappella che si trova alla sinistra dell’altare. Vi troviamo il monumento funebre di Gregorio XV, ex studente del Collegio Romano e zio del Cardinale Ludovico Ludovisi, grazie al quale si deve la realizzazione di questa Chiesa. Anche il cardinale Ludovisi riposa qui. La sontuosa tomba è svelata da due angeli musicanti che lasciano vedere il Papa seduto sul trono in atto benedicente. L’imponente monumento, di scuola berniniana, si deve agli scultori Le Gros e Monnnot.
Camillo Rusconi ha realizzato in stucco le quattro virtù cardinali rappresentate da altrettante figure femminili presenti nelle nicchie. La Prudenza, che con uno specchio si guarda alle spalle, regge un serpente, che richiama il passo del Vangelo di Matteo dove l’evangelista scrive : “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (cfr Mt 16,16). La Temperanza sta mescolando l’acqua col vino. La Fortezza è rappresentata da una donna che ha uno scudo e una lancia e ai suoi piedi un leone. Infine la Giustizia è raffigurata come una donna che regge in mano una bilancia e ha ai suoi piedi un puttino che regge in mano un fascio littorio, simbolo che precedeva i magistrati nell’antica Roma.
Altre opere di Camillo Rusconi si possono ammirare nella cappella a destra dell’altare. Qui possiamo vedere una statua in gesso di Sant’Ignazio di Loyola che doveva fungere da modello per quella marmorea che ora si trova nella navata centrale della basilica di San Pietro. Possiamo inoltre vedere le virtù teologali nelle nicchie. La Speranza con l’ancora ai piedi, la Carità che allatta molti figli, la Fede col calice e la Religione con le tavole della legge, la bibbia e le chiavi del paradiso.
Ci si può domandare come mai siano state realizzate queste imponenti statue delle virtù e la risposta potrebbe essere abbastanza semplice. Uno dei compiti principali di un gesuita è quello di praticare la direzione spirituale invogliando il fedele ad essere virtuoso nella sua vita.
La Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola fu costruita per essere la cappella del Collegio Romano, prima scuola gratuita del mondo fondata da Sant’Ignazio nel 1551. La parte architettonica è del gesuita Orazio Grassi, mentre quella decorativa è del gesuita Andrea Pozzo.
Come leggiamo nella trabeazione della facciata, il tempio è dedicato a Sant’Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù, per opera del Card. Ludovico Ludovisi che lo realizzò nel 1626 (S. Ignatio Soc. Iesu Fundatori Lud. Card. Ludovisius S.R.E. Vicecancellar. D.O.M. MDCXXVI).
Entrando dentro, vediamo che la chiesa è croce latina, con un’unica navata centrale e sei cappelle laterali (tre a destra e tre a sinistra) fra loro comunicanti.
Volgiamo ora lo sguardo sul dipinto che fa bella mostra di sé sulla volta della chiesa. Rappresenta la gloria dell’ordine dei gesuiti. Bisogna iniziare a leggere l’opera a partire dal crocifero avvolto in un panno bianco, colore della gloria e della resurrezione.
Dal fianco di Cristo fuoriesce un raggio che va a colpire Sant’Ignazio e da questi si dipana verso i quattro continenti allora conosciuti e raggiunti dall’opera evangelizzatrice dei figli spirituali di Ignazio.
Fra Ignazio e l’Europa notiamo una nuvola sulla quale possiamo scorgere i Santi Luigi Gonzaga (in talare e cotta mentre regge un giglio, simbolo di purezza) e Stanislao Kostka (in abiti liturgici). Invece fra Ignazio e l’Asia vediamo San Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio e grande evangelizzatore dell’estremo oriente.
I quattro continenti sono rappresentati da altrettante figure muliebri con degli elementi caratteristici: l’Europa è raffigurata come una anziana signora (il vecchio continente), l’Asia come una donna che cavalca un cammello, l’Africa come una donna di colore che regge in mano un corno e infine l’America come un’indigena con in mano una lancia. Tutte queste figure femminili sono rappresentate come vincitrici sulle eresie e sul paganesimo.
Alcuni angeli reggono due scudi sui quali è riportato il passo del vangelo di Luca che dice: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra/e come vorrei che fosse già acceso” (ignem veni mittere in terra/et quid volo nisi accendatur. Cfr. Lc 12,42).
Possiamo notare, sparsi qua e là, una serie di angeli con delle fiaccole che stanno incendiando lil mondo con il fuoco della carità. Infine, non può sfuggire l’assonanza fra la parola “fuoco”, in latino “ignis”, e il nome del fondatore dei gesuiti.
Prima di proseguire la nostra visita, sul pavimento della navata centrale troveremo un disco giallo, ponendoci sopra il quale possiamo avere la visione perfetta della finta cupola, opera di Andrea Pozzo. Non era possibile costruire una cupola vera e così il gesuita, esperto di ottica, si ingegnò per dare a suo modo una cupola alla chiesa! Nei pennacchi possiamo vedere Giuditta, Davide, Sansone e Giaele.
Spostandoci ora nella seconda cappella che troviamo alla nostra destra, possiamo osservare il corpo di San Roberto Bellarmino, personaggio di primaria importanza nel contesto della Riforma Cattolica e docente presso il Collegio Romano fra il 1576 e il 1587. Fra i suoi alunni ci fu San Luigi Gonzaga, che proprio in questi spazi, dove prima c’era l’infermeria del Collegio Romano, rese l’anima a Dio, dopo aver contratto la peste nell’aiutare i malati.
La Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola fu costruita per essere la cappella del Collegio Romano, prima scuola gratuita del mondo fondata da Sant’Ignazio nel 1551. La parte architettonica è del gesuita Orazio Grassi, mentre quella decorativa è del gesuita Andrea Pozzo.
Come leggiamo nella trabeazione della facciata, il tempio è dedicato a Sant’Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù, per opera del Card. Ludovico Ludovisi che lo realizzò nel 1626 (S. Ignatio Soc. Iesu Fundatori Lud. Card. Ludovisius S.R.E. Vicecancellar. D.O.M. MDCXXVI).
Entrando dentro, vediamo che la chiesa è croce latina, con un’unica navata centrale e sei cappelle laterali (tre a destra e tre a sinistra) fra loro comunicanti.
Volgiamo ora lo sguardo sul dipinto che fa bella mostra di sé sulla volta della chiesa. Rappresenta la gloria dell’ordine dei gesuiti. Bisogna iniziare a leggere l’opera a partire dal crocifero avvolto in un panno bianco, colore della gloria e della resurrezione.
Dal fianco di Cristo fuoriesce un raggio che va a colpire Sant’Ignazio e da questi si dipana verso i quattro continenti allora conosciuti e raggiunti dall’opera evangelizzatrice dei figli spirituali di Ignazio.
Fra Ignazio e l’Europa notiamo una nuvola sulla quale possiamo scorgere i Santi Luigi Gonzaga (in talare e cotta mentre regge un giglio, simbolo di purezza) e Stanislao Kostka (in abiti liturgici). Invece fra Ignazio e l’Asia vediamo San Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio e grande evangelizzatore dell’estremo oriente.
I quattro continenti sono rappresentati da altrettante figure muliebri con degli elementi caratteristici: l’Europa è raffigurata come una anziana signora (il vecchio continente), l’Asia come una donna che cavalca un cammello, l’Africa come una donna di colore che regge in mano un corno e infine l’America come un’indigena con in mano una lancia. Tutte queste figure femminili sono rappresentate come vincitrici sulle eresie e sul paganesimo.
Alcuni angeli reggono due scudi sui quali è riportato il passo del vangelo di Luca che dice: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra/e come vorrei che fosse già acceso” (ignem veni mittere in terra/et quid volo nisi accendatur. Cfr. Lc 12,42).
Possiamo notare, sparsi qua e là, una serie di angeli con delle fiaccole che stanno incendiando lil mondo con il fuoco della carità. Infine, non può sfuggire l’assonanza fra la parola “fuoco”, in latino “ignis”, e il nome del fondatore dei gesuiti.
Prima di proseguire la nostra visita, sul pavimento della navata centrale troveremo un disco giallo, ponendoci sopra il quale possiamo avere la visione perfetta della finta cupola, opera di Andrea Pozzo. Non era possibile costruire una cupola vera e così il gesuita, esperto di ottica, si ingegnò per dare a suo modo una cupola alla chiesa! Nei pennacchi possiamo vedere Giuditta, Davide, Sansone e Giaele.
Spostandoci ora nella seconda cappella che troviamo alla nostra destra, possiamo osservare il corpo di San Roberto Bellarmino, personaggio di primaria importanza nel contesto della Riforma Cattolica e docente presso il Collegio Romano fra il 1576 e il 1587. Fra i suoi alunni ci fu San Luigi Gonzaga, che proprio in questi spazi, dove prima c’era l’infermeria del Collegio Romano, rese l’anima a Dio, dopo aver contratto la peste nell’aiutare i malati.