Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

Recensioni

ROMA – Si è svolta lunedì 24 marzo alle ore 17.30 presso l’Istituto Patristico Augustinianum la presentazione del volume “Le chiese stazionali di Roma. Un itinerario quaresimale” scritto dal già primo ministro polacco e attuale ambasciatrice Hanna Suchocka, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. All’incontro, moderato da don Giuseppe Merola, redattore dell’ufficio editoriale LEV, hanno preso parte, oltre all’autrice, varie ed illustri personalità.

Il cardinale Giovanni Battista Re, ha esordito ricordando il carattere straordinario di Roma, unica al mondo per la sua storia, per il suo respiro universale, per essere il centro del cristianesimo e per le sue incomparabili chiese, luoghi prima di tutto di preghiera e di spiritualità, ma anche veri e propri musei che contengono capolavori artistici inestimabili. Per conoscere bene Roma bisogna conoscere anche queste 44 chiese dell’itinerario quaresimale.

Il porporato si è soffermato sul carattere spirituale del percorso proposto dal libro, apprezzando l’intento dell’autrice di rivivere l’esperienza che tanti cristiani hanno vissuto nel corso dei secoli. Il libro è una sorta di diario dei sentimenti vissuti ogni mattina, sostando in queste chiese.

Secondo l’alto prealato, oggi il passaggio dal carnevale alla quaresima è sul calendario, ma non incide realmente nella vita quotidiana, non ha riflesso sul tessuto sociale. Invece nel passato non è stato così.

Infatti il tempo di quaresima è nato già nel II secolo in oriente e si è affermato a Roma a partire dal 313. Alla fine del IV secolo notiamo una precisa organizzazione del tempo quaresimale. Originariamente era un ritrovarsi per ascoltare le parole del Papa.

È stato Gregorio Magno a sistemare le stazioni quaresimali così come oggi le conosciamo. Questa pratica è durata fino al XIV secolo, quando la sede papale si trasferì ad Avignone. Nel XVI secolo San Filippo Neri cercò di riportarla in auge, limitandone le visite alle 7 chiese più importanti.

Ha preso poi la parola Alfons M. Kloss, ambasciatore d’Austria presso la Santa Sede, evidenziando il taglio non accademico del libro. In esso vi si trovano la fede, la storia e l’arte con l’intento di volersi avvicinare all’essenza della nostra fede, all’esperienza dei primi martiri, e riscoprire così il senso profondo della quaresima.

L’ambasiatore si è soffermato sulla propria esperienza, raccontando di come egli viva il Mercoledì delle Ceneri a Santa Sabina, prima stazione quaresimale, e di come questa chiesa gli ricordi, per la presenza dei domenicani, la chiesa frequentata a Vienna. L’austerità della basilica lo introduce nel clima della quaresima.

Il prof. Stanislaw Grygiel, ordinario di Antropologia filosofica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo, ha fatto parte del gruppo composto da docenti, membri del corpo diplomatico e amici che hanno compiuto il pellegrinaggio insieme all’autrice. Tutti questi pellegrini chiedevano a Dio di illuminare il proprio lavoro per il bene comune.

Il docente, citando le parole di Goethe, ha ricordato come l’Europa sia nata dal pellegrinaggio. Pellegrinare attraverso le tappe delle stazioni quaresimali, vuol dire andare in cerca di una sorgente secondo le parole di Giovanni Paolo II nel Trittico Romano: “Sorgente dove sei? Dove sei sorgente?”.

Ed una volta trovata la sorgente è necessario inginocchiarsi per attingere ad essa. Chi non si sa inginocchiare alla sorgente finisce per turbare le acque. Nell’atto del pellegrinaggio continua a nascere l’Europa. Possiamo quindi domandarci: “L’Europa staccata dalla Chiesa, sarà ancora Europa?

Il prof. Marek Inglot SJ, docente presso la Facoltà di Storia e Beni culturali della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana, ha notato come il testo della Suchocka non sia solo un libro per essere letto, ma che invita ad intraprendere il cammino verso le stazioni quaresimali. Esso inoltre spinge il lettore ad interrogarsi sulla propria fedeltà a quanto hanno vissuto i primi cristiani.

Il docente ha sottolineato, seguendo il pensiero di Giovanni Paolo II rivolto alla Terra Santa, che già solo andare con la mente in questi luoghi, significa ripercorrere i passi del Verbo Incarnato, e mettersi sulle strade di un Dio che ci ha preceduto in questo viaggio.

Infine il religioso ha riscontrato una naturale simpatia dell’autrice verso i segni polacchi presenti a Roma. Ma anche verso i gesuiti. Quest’ultima “simpatia” ha suscitato in sala un sorriso… Essendo il relatore un gesuita! Ma padre Inglot ha specificato di riferirsi ai gesuiti della prima ora, a Sant’Ignazio e ai suoi compagni. Infatti l’autrice nel libro ricorda come a San Paolo Fuori le Mura, il 22 aprile 1541 Sant’Ignazio e i suoi fecero i voti solenni. E ancora come a San Lorenzo in Damaso fu presente San Francesco Saverio.

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Il 17 dicembre 2013 Papa Francesco ha esteso alla Chiesa universale il culto liturgico in onore di Pietro Favre, che, a detta dello stesso Pontefice, è la figura di gesuita che gli è più cara, dopo ovviamente Ignazio di Loyola. Ma chi è Pietro Favre? Per conoscere questo “nuovo santo” può essere utile la lettura del volume “Pietro Favre. Servitore della consolazione” curato dal Direttore de “La Civiltà Cattolca”, padre Antonio Spadaro ed edito per i tipi dell’Ancora.

Il testo raccoglie un insieme di saggi comparsi su “La Civiltà Cattolica” che possono aiutare a delineare il ritratto del “santo di Papa Francesco”. Il primo contributo scritto nel 1979 da padre Giuseppe Mellinato è di taglio biografico e funge da introduzione agli altri che invece si soffermano su particolari carismi di Favre.

Scopriamo allora che Pietro Favre è nato a Villaret, in Savoia, il 13 aprile 1506 in una modesta famiglia di contadini. All’età di 19 anni si recò a studiare alla Sorbona di Parigi, dove incontrò Ignazio di Loyola che era più grande di lui di una ventina di anni. Insieme dimorarono presso il Collegio Santa Barbara con Francesco Saverio.

Capiamo subito quindi che Favre è uno dei primi amici di Ignazio e dunque avvicinarlo significa comprendere qualcosa in più su come è nata la Compagnia di Gesù. Egli non aveva le idee chiare su quale fosse la propria vocazione, fu così che nel gennaio del 1534 iniziò gli esercizi spirituali, la pratica di discernimento ideata proprio da Ignazio, che lo porteranno nel maggio dello stesso anno a diventare prete.

Egli dunque è il primo sacerdote della  Compagnia di Gesù, prima ancora dello stesso Ignazio! Fu proprio Favre a celebrare la messa quel 15 agosto 1534 quando Ignazio e altri cinque suoi amici alle pendici di Montmartre fecero voto di unirsi in quello che sarebbe divenuto uno dei più importanti ordini religiosi della Riforma Cattolica.

È proprio nel contesto della desiderio di riforma che Favre svolge il suo apostolato. Egli, secondo le parole dei padri Coupeau e Zollner, “poteva testimoniare che la diffusione del protestantesimo era dovuta a una crisi morale e spirituale in seno alla Chiesa cattolica. Per il fatto che i cattolici dei paesi tedeschi avevano perso il retto sentire, era andata persa anche la retta fede.  Per poter riacquistare la retta fede, la strategia di Favre tendeva a ricondurre i fedeli al retto sentire” (p. 72).

E quale metodologia seguiva Favre? Sono ancora i due gesuiti a spiegarcelo: “Anziché esibirsi pubblicamente in dispute teologiche o polemizzare sulle condanne reciproche, con incontri personali voleva convincere i protestanti di quanto gli stesse a cuore la riforma spirituale e quanto fosse necessaria l’unità di tutta la Chiesa” (ibidem).

Troviamo in queste parole una grande assonanza con la sensibilità spirituale di Papa Francesco. Il Pontefice infatti, proprio come il santo che ha tanto a cuore, predilige la cosiddetta “cultura dell’incontro”: al centro dei suoi interessi non c’è l’esposizione di una dottrina, ma il desiderio di farsi prossimo ad ogni uomo.

Lo vediamo nella sua gestualità, nel suo chinarsi verso le persone più sofferenti, nei suoi non rari contatti telefonici: in ognuno di questi  suoi gesti possiamo scorgere il desiderio di incontrare direttamente le persone alle quali vuole fare sentire l’abbraccio di Cristo.

Papa Francesco, come Favre, vive in un tempo di riforma, che è anzitutto una sempre maggiore adesione del cuore a Cristo prima che una serie di cambiamenti di strutture. La riforma della Chiesa è qualcosa di sostanzialmente molto diverso da quella che può essere la riforma di uno stato: essa passa prima di tutto attraverso le persone.

Per tutti questi motivi crediamo che Papa Francesco si ispiri e senta così vicino il primo sacerdote della Compagnia di Gesù.

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Nei giorni 19, 23 e 29 agosto 2013 Padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica” si è recato a Santa Marta per intervistare Papa Francesco. Questa intervista è uscita il 19 settembre proprio sulla prestigiosa rivista dei gesuiti. Ora il testo viene ripubblicato dalla dalla casa editrice Rizzoli.

In questa nuova edizione, l’intervistatore fornisce un aiuto nella comprensione di quanto già dichiarato dal Pontefice, permettendo ai lettori di addentrarsi dietro le quinte di quella che lo stesso Spadaro ha definito, più che un’intervista, un’esperienza spirituale.

La comune formazione gesuitica ha permesso a Padre Spadaro di leggere in profondità le espressioni del Papa. Si può dire infatti che fra i due ci sia “un linguaggio comune in più” (p. 18). Ciò permette al lettore di avvicinarsi al “vero Papa Francesco” e non a quello a volte caricaturale di certa stampa.

L’incontro si è svolto in un clima assai sereno nel quale il Papa ha messo a suo agio padre Spadaro. La sua autorevolezza – scrive il direttore de “La Civiltà Cattolica” a p. 19 – non si accompagna alla distanza ieratica, ma alla disponibilità vicina.

In fin dei conti, una delle chiavi del “successo” di Papa Bergoglio, sta nel suo entrare in sintonia con chi gli sta di fronte. “Si tratta di quella simpatia di cui parla Abraham Joshua Heschel e che riguarda il profeta, il quale armonizza la sua vita alla parola di Dio, coinvolgendo i sentimenti di chi lo ascolta (p. 20)”. Il Papa comunque non si limita a comunicare, ma crea eventi comunicativi, cioè rende attori e protagonisti coloro che dovrebbero essere solo spettatori (cfr. p. 69).

Papa Francesco è il primo papa, dopo più di 180 anni, che proviene da un ordine religioso. L’ultimo era stato il bellunese Bartolomeo Alberto Cappellari che apparteneva all’ordine benedettino e che, alla sua elezione, prese il nome di Gregorio XVI. Come è noto, chi appartiene a una particolare famiglia religiosa, ne segue il carisma. Uno degli aspetti più interessanti del libro è sicuramente il continuo richiamo alla spiritualità dell’ordine dal quale il Santo Padre proviene.

Una particolarità della spiritualità gesuitica sulla quale più si riflette è quella del discernimento, cioè la capacità di scorgere fra le cose umane quelle divine. Esso richiede una profonda immersione in Dio: “Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente poveri (p. 28)”.

È proprio questa visione delle cose che ha portato il Papa a circondarsi di 8 cardinali, ascoltando i quali egli prenderà quelle decisioni che sono più utili per il bene della Chiesa. Riforme che ci saranno, ma in modo lento e graduale, proprio perché il Papa diffida delle scelte impulsive.

Le riforme non saranno solo strutturali. Queste avverranno in seconda battuta. Papa Francesco, con una logica profondamente cristiana, ritiene che la prima e la più importante delle riforme sia quella del cuore: “La prima riforma è quella dell’atteggiamento (p. 59)”.

Il più grande cambio di atteggiamento che il Papa vuole, in piena conformità con il messaggio del vangelo, è quello che riguarda il ruolo della Chiesa. Il Santo Padre desidera che la comunità ecclesiale non sia autoreferenziale, ma tutta protesa verso i bisogni dell’uomo di oggi: “Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade (p. 60)”.

Per Papa Francesco non si tratta di un appiattimento della Chiesa verso il mondo, come troppo spesso proposto dai mass media, ma di un genuino senso missionario che dovrebbe spingere la Chiesa a uscire da sé per abitare le tante periferie geografiche ed esistenziali

Ma Bergoglio è un conservatore o un progressista? Quando anni addietro si trovò con ruoli di responsabilità all’interno del suo ordine, papa Bergoglio confessa di aver preso scelte che contribuirono ad affibbiargli l’etichetta di conservatore. Non pochi oggi al contrario lo etichettano come progressista, ma si direbbe che questo è il destino degli uomini di Dio i quali, in realtà, oltrepassano di gran lunga queste categorie mondane.

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Sono molte le pubblicazioni in questi ultimi anni che aiutano i lettori ad avvicinarsi al mondo della fede attraverso l’arte. Basti pensare ai volumi di Timothy Verdon, Maria Gloria Riva o Maria Rosa Poggio. A questa ampia letteratura si aggiunge un interessante volume del gesuita Andrea Dall’Asta intitolato “Dio storia dell’uomo. Dalla parola all’immagine” delle Edizioni Messaggero Padova.

Il testo, più che una raccolta di opere d’arte di ispirazione religiosa e delle loro relative spiegazioni, si propone come una riflessione di ampio respiro sul rapporto fra parola e immagine, come messo in luce già nel titolo.

Tutte le esperienze gnoseologiche e religiose si sbilanciano a favore del dato visivo, come nel mondo greco, dove si predilige l’osservazione della realtà, oppure di quello uditivo, come nella cultura ebraica, dove il popolo eletto si mette in ascolto della rivelazione divina. L’autore invece mostra come il cristianesimo offra una straordinaria sintesi fra questi due dati, una sintesi resa possibile dal Mistero dell’Incarnazione nel quale la Parola si è fatta Carne.

La centralità della Parola nell’Antico Testamento viene analizzata nel primo capitolo, mentre l’importanza dell’Immagine occupa il secondo. Questi primi due capitoli, che fanno da introduzione agli altri temi successivamente esposti,  sono quelli più propriamente teologici e sono ricchi di riferimenti scritturistici.

Fra le analisi delle opere prese in esame, abbiamo particolarmente apprezzato quella sull’autoritratto di Albrecht Dürer. Dall’Asta spiega come il pittore tedesco abbia rappresentato se stesso come Figlio di Dio. Apparentemente, ritrarsi in questo modo, potrebbe sembrare blasfemo, ma l’analisi dell’autore ci mostra come invece Dürer abbia colto in profondità l’essenza del cristianesimo: ogni fedele è chiamato a conformarsi a Cristo, a diventare sua immagine. È nel Figlio che diventiamo figli di Dio.

Probabilmente l’autore sente questa immagine molto vicina a sé, visto che è stata anche scelta come copertina del libro.

Quello che colpisce dell’analisi di tutte le opere è la particolare profondità con la quale vengono studiate. Le parole usate dall’autore non servono solo a descrivere le opere in termini formali, ma si spingono a cogliere l’anima di ogni raffigurazione, restituendo ad esse il “valore sacramentale” che ogni opera religiosa possiede e che spesso i critici sottovalutano. L’arte sacra infatti rimanda sempre a un contenuto più alto. Essa è stata realizzata con un fine catechetico e per accendere nel fruitore/fedelela pietà. Ignorare queste dimensioni non fa cogliere appieno queste espressioni artistiche.

Lo stile adoperato è sempre chiaro e lineare, nonostante la profondità dei contenuti. In più passi è possibile scorgere una sensibilità quasi di stile orientale, molto attenta alla dimensione trinitaria e in particolare alla pneumatologia.

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Dopo essersi intrufolato in casa Chesterton, Andrea Monda, insieme con Saverio Simonelli, ha sbirciato nella biblioteca di Papa Francesco, dando così vita al libro uscito per la casa editrice Àncora “Fratelli e sorelle, buona lettura! Il mondo letterario di Papa Francesco”.

Il testo ha l’intento di ricostruire, a partire dalle citazioni che di tanto in tanto Papa Francesco ha fatto, quali siano gli autori preferiti dell’attuale Vescovo di Roma.

Una simile operazione fa essere questo testo fra le prime pubblicazioni, se non la prima in assoluto, che descrivono lo spessore culturale di Papa Francesco. La nostra testata fu la prima a scorgere una somiglianza fra il profilo umano e spirituale di Papa Francesco e quello di Giovanni Paolo I, una somiglianza che possiamo notare anche sotto il punto di vista culturale.

Papa Luciani, al pari di quanto sta accadendo per Papa Bergoglio, è stato principalmente percepito come un uomo semplice e vicino alla gente, mentre è sfuggita ai più il suo amore per la letteratura.

Un errore nel quale non sono caduti gli autori del nostro libro che hanno rintracciato nei vari discorso di Papa Francesco i vari riferimenti al mondo della letteratura, un mondo che il Pontefice conosce bene, visto che negli anni ’60 insegnò nell’Istituto Immacolata Concezione della città argentina di Santa Fe.

Leggendo questo libro, sono molte le cose che si possono scoprire sul back-ground culturale di Papa Francesco. Il Pontefice apprezza lo scrittore inglese G.K. Chesterton ed è anche iscritto alla Società Chestertoniana Argenitina.

Apprendiamo ancora che Papa Francesco ha attinto l’espressione “le classi medie della santità” dalla produzione letteraria dello scrittore francese Joseph Malègue.

Anche in un momento come quello della visita all’isola di Lampedusa, in memoria di quanti hanno drammaticamente perso la vita in mare, Papa Francesco non ha tralasciato un collegamento con l’universo letterario individuando nel manzoniano Innominato la figura di quanto si disinteressano del prossimo.

Monda e Simonelli prendono ancora in esame autori del calibro di Dostoevskij, Tolkien e Hölderlin, senza trascurare altri autori minori che hanno influito su Bergoglio. Un libro da leggere per conoscere un aspetto del nuovo Papa fino ad ora poco studiato.

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Per essere il precursore di Cristo e una sorta di “martire ante litteram”, la figura di San Giovanni Battista è stata ampiamente venerata nel corso della storia della Chiesa e le vicende che lo riguardano sono oggetto di numerosi cicli pittorici, come quello dell’oratorio di San Giovanni Battista a Urbino, al quale è dedicato un piccolo volumetto delle edizioni San Paolo: “La salvezza nel battesimo” di Valentina Rapino.

L’autrice ha il grande merito di fare conoscere al pubblico un gioiello della città marchigiana, che purtroppo non gode di una cessiva fama, eclissato forse dal più noto Palazzo Ducale.

Il ciclo pittorico, opera dei fratelli Lorenzo e Jacopo Salimbeni, è stato realizzato attorno al 1416 ed è analizzato dall’autrice con un continuo rimando ai brani evangelici che hanno ispirato gli artisti che hanno lavorato alla sua realizzazione.

Il testo, scritto per chiunque ami il raccordo fra religione e arte, potrebbe risultare particolarmente utile a quanti operano nel campo della catechesi e dell’insegnamento religioso: è infatti provato dall’esperienza che l’uso delle immagini faciliti gli ascoltatori nella comprensione dei contenuti di fede.

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Attraverso il mondo dell’arte è facile veicolare anche quei contenuti che a parole sarebbe difficile trasmettere. Se intendiamo aiutarci con delle immagini nell’impostazione di un incontro di catechesi o nella preparazione di una lezione di religione, ci possono venire in aiuto dei validi sussidi come i piccoli volumi della collana “arte e fede” della casa editrice San Paolo.

Vi presentiamo in particolare il volume di Claudia Corti dedicato al sacramento del battesimo e che ha per titolo “Il simbolismo dell’acqua nell’arte cristiana”.

L’autrice, dopo aver spiegato come il rito del battesimo si sia evoluto nel corso dei secoli, mostra come tale sviluppo abbia influito nelle rappresentazioni artistiche di questo sacramento.

La Corti passa poi a descrivere come il passaggio dal rito del battesimo celebrato per gli adulti a quello celebrato per i bambini abbia portato alla progressiva sparizione dei battisteri costruiti come spazi a se stanti, a favore dei fonti battesimali all’interno delle chiese.

Sia per i battisteri che per i fonti battesimali, si dà una descrizione delle principali decorazioni che in essi possiamo trovare. L’autrice dedica infine una particolare attenzione ai battisteri di Milano e del nord Italia. Fra i pregi del volume possiamo indicare la semplicità del linguaggio, il collegamento sempre presente fra teologia, liturgia, storia, arte e simbolismo.

 

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Nella visione cristiana, ogni realtà umana, grazie all’Incarnazione, è abbracciata ed elevata. A questa logica non si sottrae nemmeno la sfera politica che tanto ha ricevuto dall’intelligenza della fede e dalla comprensione del mondo che il cristianesimo ha.

A questi temi è dedicata l’ultima fatica letteraria di Massimo Borghesi, docente ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Perugia, che ha per titolo “Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’epoca costantiniana” ed è edita da Marietti.

L’autore affronta il rapporto fra religione e politica dando al suo saggio un taglio storico e filosofico. Egli inizia col descrivere la situazione di sostanziale connubio fra politica e religione (pagana) nell’antico impero romano, dove la figura dell’imperatore deteneva allo stesso tempo il potere politico e quello religioso.

Contrariamente a quanto sostiene il luogo comune, il docente ritiene che la religione politeista romana non era affatto tollerante verso le altre religioni, almeno nel modo in cui oggi intendiamo questa parola.

La “tolleranza” romana era dettata dalla logica della “pax deorum” ovvero dall’adorazione di tutti gli dei del cielo al fine di ottenere da essi pace e prosperità per l’Impero.

La religione pagana poteva tollerare altre divinità straniere, che potevano essere incluse nel Pantheon romano, ma si scontrò con il monoteismo cristiano che quel Pantheon non ammetteva.

Ma il cristianesimo, soprattutto, non riconosceva all’imperatore alcun carattere divino. In ciò i cristiani portarono una novità assoluta che sarà determinante per il futuro della storia umana: la desacralizzazione del potere politico.

Questo nuovo modo di vedere il rapporto religione-politica mandò in tilt il mondo antico e causò la persecuzione dei cristiani almeno fino all’avvento di Costantino.

Nei primi tre secoli troviamo numerosi autori cristiani che si battono per la “libertà religiosa” come Tertulliano e Lattanzio. Nelle loro opere esortano i pagani a rispettare ogni culto, perché “non è della natura della religione il forzare la religione stessa”.

Quando il cristianesimo acquisisce una maggiore importanza nel contesto culturale romano, è un autore cristiano convertito dal paganesimo come Firmico Materno a teorizzare per la prima volta l’uso della forza per estirpare il paganesimo, una posizione questa che si pone in forte contraddizione con quanto precedentemente insegnato da illustri uomini di Chiesa.

Si arriva così al cuore del problema che l’autore vuole prendere in considerazione: la posizione di Agostino e il suo influsso nei secoli successivi. Il pensiero del Vescovo di Ippona sul rapporto fra religione, politica e uso della forza si ricava dall’epistolario e dal De civitate Dei. Fino all’anno 405, Agostino, in accordo con quanto insegnato da molti cristiani, è contrario all’uso della forza per risolvere le questioni religiose. Agostino cambierà posizione dopo le repressive misure adottate dall’Imperatore Onorio contro i donatisti, misure senza le quali difficilmente si sarebbe ricomposto lo scisma. Questa svolta, palese se si legge il suo epistolario successivo all’anno 405, data l’influenza nella storia dell’occidente cristiano – nota l’autore – sarà gravida di conseguenze.

Quando tuttavia l’Ipponate fra il 412 e il 426 compone il De civitate Dei, il suo spirito è ancora permeato dalla visione tollerante che è stata tipica dei cristiani dei primi tre secoli, al punto che, continuando a esprimersi attraverso le categorie proprie di una “politica desacralizzata”, Agostino affermerà che l’accusa rivolta ai cristiani di aver reso vulnerabile Roma per non aver venerato i suoi dei è del tutto priva di fondamento.

Secondo Borghesi, per tutto il medio evo il De civitate Dei è stato letto alla luce dell’epistolario, e non, come sarebbe stato più logico fare alla luce della maturazione dell’ipponate, il contrario. Da questa lettura deriva quello che l’autore chiama “agostinismo medioevale”, cioè un sistema di idee che ha contribuito a fare avvicinare di nuovo, e in maniera eccessiva, la politica e la religione.

Un revival della antica visione pagana, sostenuta anche dal fatto che le mistiche Civitas Dei (animata dall’amore di Dio) e Civitas mundi (animata dall’amore egoistico) sono state rispettivamente ridotte nella Chiesa e nello Stato. Il carattere mistico di queste due Civitates fa sì che la Civitas Dei non si potrà mai realizzare come Civitas terrena.

Agostino insomma, con la sua visione, spazza via ogni possibilità di “teologia politica”, cioè ogni teologizzazione della realtà politica. Agostino invece ha una “teologia della politica”, cioè una visione cristiana di ciò che riguarda la sfera politica.

Di ciò fu convinto il teologo e scrittore cattolico Erik Peterson autore nel 1935 de “Il monoteismo come problema politico”, il saggio che voleva contestare l’espressione “teologia polita”, coniata e adoperata da Carl Schmitt come titolo di un suo libro del 1922. Mentre Peterson nega qualsiasi contiguità fra teologia e politica, per Schmitt ogni sistema politico è una trasposizione in termini laici di una visione religiosa.

Nel libro Borghesi traccia i profili di altri autori recenti che sono stati influenzati, chi in un modo, chi in un altro, dalle idee di Agostino, Peterson e Schmitt.

Un libro dagli alti contenuti, ma fruibile da chiunque fosse interessato all’argomento. Ogni tesi sostenuta nel saggio è ampiamente documentata da un serio apparato critico.

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ROMA – Al termine della presentazione del libro “Symbolum. Percorsi e approfondimenti sul Catechismo della Chiesa Cattolica” edito dalla Libreria Editrice Vaticana, abbiamo incontrato l’autrice, la Professoressa Maria Rosa Poggio, alla quale abbiamo rivolto qualche domanda.

Come è nata l’idea di questo libro? È stata un’iniziativa personale o è nata all’interno di una esperienza ecclesiale oppure è stata la chiesa a richiederle la compilazione di questo testo?

Mi è stata richiesta, vista la mia esperienza nel campo dell’insegnamento e  vista l’esigenza di rendere  fruibile il Catechismo della Chiesa Cattolica. È stato chiesto uno strumento che potesse essere ponte tra quell’immenso patrimonio che è il catechismo, ma che alle volte risulta essere un pochino complesso, anche nella consultazione, e i fedeli.  Mi è stato chiesto di poter rendere i contenti del Catechismo più fruibili attraverso dei percorsi di lettura, ma anche attraverso la spiegazione di alcune domande e alcune parole specifiche, che magari provengono dalla teologia e quindi possono risultare di più difficile comprensione.  Ho cercato di facilitare il tutto anche con delle domande che io ho chiamato “le domande più frequenti” che  sono quelle che il catechista  si sente sempre rivolgere. Inoltre è stato mio intento di rendere accessibile il Catechismo da un punto di vista pratico per gli insegnanti , per i catechisti, man anche per  le singola persone che si vogliono avvicinarsi al Catechismo. Questo mio lavoro comunque non vuole essere una sostituzione, ma, come ho già detto, un percorso di lettura di quel Catechismo ,quindi credo che chi leggerà il mio libro sentirà poi il bisogno di andare alla fonte.

A quale tipo di persone si rivolge in particolare il testo da lei scritto ?

Il testo è stato studiato per gli adulti, ma ho cercato sempre di tenere un linguaggio tale da poter intercettare un ampio pubblico, un linguaggio che potesse essere comprensibile anche da ragazzi di 14-15 anni.

Sfogliando il libro si nota una predilezione per l arte antica. Secondo lei, le espressioni artistiche del passato sono più idonee per la nuova evangelizzazione rispetto a quelle più moderne?

No. Penso che tutta l’arte sia ugualmente utilizzabile. Naturalmente credo anche che l’arte moderna alle volte sia molto difficile da leggere, perché necessita di una preparazione molto particolare e bisogna essere ben certi del significato che l’autore ha voluto attribuire alla sua opera.  Mentre è più semplice avere una preparazione nell’arte antica, o perché l’abbiamo vista già, o perché spesso  la persona ha già un occhio esercitato, per cui alcuni documenti  artistici del passato sono più facilmente accessibili per la definizione dell’immagine e per la loro semplicità rispetto all’arte moderna.  Non dobbiamo dimenticare che l’arte antica è un immenso patrimonio  e che abbiamo avuto l’intera bibbia raccontata dalle cattedrali. Certamente, l’arte moderna è importante, ma c’è tutto un bagaglio di espressioni artistiche precedenti  che non può essere buttato alle ortiche!

La via della bellezza è stata un tema caro a Papa Benedetto. Pensa che anche Papa Francesco batterà questa via o troverà altri modi per la nuova evangelizzazione?

Dipende dal significato che noi diamo alla parola bellezza.  Se intendiamo esclusivamente l’arte nella sua espressione umana come la musica, la pittura,  la scultura ecc. allora forse Papa Francesco cercherà un’altra strada. Ma questo non significa che abbandonerà la bellezza,  perché possiamo trovare la bellezza anche nel creato o in chi ha bisogno, una bellezza che il mondo non valorizza, ma che la fede ci invita a scorgere.

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Troppo spesso sentiamo in tv storie di violenza nei confronti delle donne. Questi tristi episodi non avvengono soltanto laddove la donna è purtroppo considerata un essere di serie “B”, ma fanno parte anche della cronaca di paesi come il nostro, dove l’uguaglianza e l’emancipazione delle donne è (o dovrebbe essere) ormai da decenni un dato acquisito.

Si scatenano così in tv i dibattiti su un così triste fenomeno e talvolta capita che il cristianesimo venga additato come una delle matrici di odio verso le donne. L’accusa di misoginia verso la chiesa è piuttosto antica e prende le mosse dal fatto che le donne non possono accedere al sacerdozio. Si sostiene che una simile scelta sia fortemente maschilista e discriminante nei confronti della donna. Il cristianesimo, afferma questa tesi, sarebbe nemico giurato e irriducibile dell’universo femminile.

Ma le cose stanno davvero così? Ad una analisi più attenta e lungimirante, l’accesso al sacerdozio è l’unica cosa che nel cristianesimo viene negata alle donne, alle quali è comunque riconosciuta una gran dignità, spesso ricordata negli ultimi giorni anche da Papa Francesco. Basta pensare che la figura più amata e venerata nel cristianesimo, dopo quella di Gesù, è Maria. E la Madre del Salvatore è, nella compagine dei santi, in buona compagnia di moltissime altre figure femminili: pensiamo, solo per elencarne alcune, a Lucia, ad Agata, a Perpetua e Felicita. Il cristianesimo poi è l’unica religione nella quale uomini e donne ricevono lo stesso rito di iniziazione: il battesimo. È l’unica religione monoteista che consente a uomini e donne di stare insieme durante gli atti di culto.

Insomma, la dignità della donna è particolarmente tenuta in conto nella religione cristiana e questo perché lo stesso Gesù chiamò, rompendo con la cultura del suo tempo, fra i suoi discepoli delle donne. Per scoprire la genesi di questo amore del cristianesimo verso l’universo femminile può essere utile la lettura del libro “Le donne di Gesù. Figure femminili del Nuovo Testamento” di Maria Luisa Eguez edito dalle “Edizioni Messaggero Padova”.

L’autrice, classe 1951, nella breve prefazione afferma che questo non è un testo esegetico, tuttavia dimostra di avere un ottima padronanza del testo biblico. La Eguez esplora 12 tipologie di figure femminili del Nuovo Testamento, un numero che non sembra affatto casuale.

Ampio risalto viene dato alla Madre di Gesù, alla quale l’autrice dedica bel 29 pagine. La figura della Vergine viene attentamente analizzata partendo dal testo evangelico nel quale si colgono i vari echi veterotestamentari. Maria dunque viene descritta come una figura femminile pienamente inserita nella storia del suo popolo, nella quale le parole dell’Antico Testamento trovano compimento e pienezza.

Tutte le altre figure femminili prese in considerazione consentono di fare una duplice riflessione: da una parte si incontrano volti di persone che la cultura del tempo aveva escluso dal piano di salvezza di Dio, come la madre della straniera ( p. 73), e che vengono ampiamente esaltate da Gesù per la loro fede, dall’altra ogni donna analizzata permette di evidenziare qual è lo sguardo di Gesú verso l’umanità e verso il mondo femminile in particolare come nel caso dell’adultera (p. 63)

La lettura che l’autrice offre non è, come ella stessa afferma, un’interpretazione femminista del vangelo, ma offre lo spunto per comprendere come l’amore per il femminile sia una dimensione costitutiva e originale del cristianesimo, in sostanziale asimmetria con non pochi contesti culturali coevi alla nascita della nostra religione.

Un testo sicuramente consigliabile per avere un quadro generico, ma allo stesso tempo completo, su questo aspetto e che può essere di aiuto per la preparazione di un incontro di catechesi o una lezione di religione.

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