Recensioni
Martedì 19 luglio, presso la Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto, nell’ambito della manifestazione Piceno d’Autore si è svolta la presentazione del volume Il nome di Dio è Misericordia del vaticanista Andrea Tornielli.
Il giornalista, sollecitato dalle domande del Prof. Fernando Palestini, direttore dell’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali, ha illustrato quello che può essere considerato il leitmotiv del pontificato di Papa Francesco. All’incontro era presente fra il pubblico anche il Vescovo di San Benedetto del Tronto, Mons. Carlo Bresciani.
Tornielli ha spiegato come l’idea di intervistare il Papa sul tema della Misericordia gli sia venuta dopo che il Pontefice ha annunciato il desiderio di voler celebrare il Giubileo straordinario della Misericordia. Poiché Tornielli aveva intervistato già due volte Papa Francesco su temi di attualità e aveva avuto più volte la fortuna di accompagnare il Santo Padre nei viaggi apostolici insieme ad altri giornalisti, egli aveva in un certo senso esaurito le domande di taglio giornalistico e così, dopo il viaggio in Equador, Bolivia e Paraguay ha proposto al Papa l’idea di un libro-intervista nel quale si affrontasse in modo specifico il tema della misericordia.
Tornielli conosceva Bergoglio già da parecchio tempo ed era rimasto affascinato da quella sua paternità spirituale e da quel suo modo di fare dal quale traspare il volto della misericordia di Dio. Su questo tema, secondo Tornielli, c’è stato un crescendo di interesse da parte dei Papi a partire da Giovanni XXIII: non che prima del “Papa buono” il tema della Misericordia fosse sconosciuto, ci mancherebbe, ma è stato necessario ribadirlo, poiché negli ultimi decenni si è assistito a un profondo cambiamento della società che si è lentamente allontanata da un modo di vivere e di pensare se stessa in termini cristiani.
Davanti al tema della misericordia, secondo Tornielli, ci sono due possibili atteggiamenti, prima ancora umani che cristiani: da una parte c’è chi in modo umile si lascia interrogare dalla vita e dall’altra chi si erge su un piedistallo per giudicare. Si tratta di prospettive che si sono ben cristallizzate nei vangeli e che vedono l’azione di Gesù contrapposta a quella dei farisei. Sono atteggiamenti mentali che continuano a sopravvivere anche al tempo di oggi. Secondo il giornalista è certo che se ognuno di noi guardasse con onestà se stesso, non si potrebbe fare a meno di riconoscersi bisognosi della misericordia di Dio.
E proprio sul tema della misericordia, il Papa incontra delle resistenze, anche all’interno del mondo ecclesiale. Secondo Tornielli, un certo tipo di resistenze al Papa sono “fisiologiche”, poiché rientrano nella natura delle cose, essendoci parecchie divergenze fra persona e persona. Anche Papi come Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno dovuto fare i conti, se così si può dire, con il fronte interno e pertanto sarebbero da evitare certe semplificazioni giornalistiche che tendono a presentare Papa Francesco quasi come fosse il primo Papa della storia che si imbatte in tali dinamiche. Quello che però colpisce nel caso di Papa Francesco è che coloro che storcono il naso davanti al suo ministero e alla sua azione pastorale replicano in un certo senso le incomprensioni e le ostilità degli oppositori di Gesù.
Si potrebbero fare numerosi esempi a tal proposito. Nel libro si riporta quello di una donna, madre di due figli che, non riuscendo a lavorare in maniera continuativa, e impossibilitata a garantire ai suoi figli di che vivere, si era avviata sulla strada della prostituzione. Bergoglio, che allora era un semplice prete, conoscendo la sua situazione, aveva cercato di aiutarla materialmente fornendole dei pacchi di cibo. Un giorno, questa donna si presentò al futuro Papa, ringraziandolo non solo per l’aiuto offerto, ma perché in tutto quel tempo non aveva mai smesso di chiamarla “Signora”, non facendole mai mancare la sua dignità di essere umano.
Tornielli si è poi soffermato su altri temi che ritornano spesso nelle parole di Papa Francesco come quello della distinzione fra peccato e corruzione. Il vaticanista ha sottolineato come la parola corruzione nel pensiero del Pontefice non si riferisca al denaro, alla gravità del peccato o alla sua frequenza, ma alla realtà di chi, non riconoscendosi peccatore bisognoso della misericordia di Dio, eleva il proprio peccato a sistema
Infine, il giornalista si è domandato come il cristiano non possa avere uno sguardo di compassione verso il forestiero e l’immigrato, visto che il suo Dio ha fatto entrambe le esperienze, poiché Gesù a causa dell’egoismo è nato in una stalla e a causa della cattiveria di Erode è dovuto emigrare in Egitto, che per fortuna non aveva eretto i muri come alcuni paesi cristiani dell’Europa dell’Est. Non si tratta di fare considerazioni di carattere politico, ma di attingere dalla sapienza del Vangelo. In tal senso, misericordia e perdono hanno una valenza politica e sociale.
Venerdì 27 maggio, presso il centro Biancazzurro si è svolta la presentazione del libro L’Amore che guarisce, di Giulia Ciriaci e Ascenza Mancini che hanno presentato al numeroso e variegato pubblico l’esperienza di vita e di fede di Francesco Vittorio Massetti, sacerdote sambenedettese tanto grande quanto purtroppo sconosciuto. Le autrici hanno così tratteggiato la figura di don Vittorio, un vero profeta che ha anticipato con la sua vita e le sue opere quanto sarebbe poi sbocciato col Concilio Vaticano II: basti pensare al tema della chiamata universale alla santità, all’importanza data ai laici e in particolar modo alle donne, alla proposta di vita comunitaria per i sacerdoti. Queste intuizioni hanno preso consistenza a partire dal binomio che più ha connotato la sua esistenza: l’affidamento alla Provvidenza e la gratuità dell’azione svolta a favore degli ultimi.
L’incontro è stato impreziosito dalla presenza di don Gianni Anelli, canonico penitenziere della Cattedrale di San Benedetto del Tronto, che ha conosciuto don Vittorio ed è rimasto influenzato dal suo carisma. Durante il suo intervento, don Gianni ha espresso tutta la sua gratitudine alle autrici per questo volume che restituisce alla Chiesa la figura di don Vittorio nella sua interezza. Don Gianni è stato la fonte alla quale le autrici hanno attinto per riportare alla luce la figura di don Vittorio e l’anziano sacerdote si è prestato a questo lavoro sentendolo come una sorta di debito verso don Vittorio.
Al prof. Giancarlo Brandimarte e a Giuseppe Gregori sono stati affidate le letture di alcuni brani che hanno consentito ai partecipanti una più diretta introduzione nel vissuto di questo sacerdote chiamato “Vitto” dai sambenedettesi, “Franz” dagli studenti del collegio Augustinianum della Cattolica a Milano di cui è stato direttore, nome quest’ultimo che gli era stato dato dal Beato Piergiorgio Frassati, suo compagno di studi universitari.
Ma la figura di don Vittorio, così come è tratteggiata nel libro, ha da dire ancora qualcosa alla gente di oggi oppure quella delle autrici è una semplice rievocazione storica? Questa è la domanda che Giulia Ciriaci e Ascenza Mancini hanno fatto all’inizio dell’incontro e che ha accompagnato l’intera presentazione. Alla fine la risposta è venuta da sola: la vita dell’uomo, prima ancora che del sacerdote, è stata tutta poggiata su Cristo e pertanto essa risulta vera, autentica e capace dunque di valicare i limiti del tempo.
Al termine della serata ha preso la parola il vescovo Mons. Carlo Bresciani che ha detto come la storia narrata nel libro gli abbia consentito di ripercorrere alcuni momenti della sua vita e di poterli ricollegare alla figura di don Vittorio. Infatti, don Vittorio, che sotto il pontificato di Pio XII era stato condannato dal Sant’Uffizio, recuperò la pienezza del sacerdozio sotto Paolo VI, ma preferì trasferirsi a Brescia presso l’amico don Re, prete che l’allora giovane sacerdote Carlo Bresciani frequentava. Ora, improvvisamente, Mons. Bresciani è riuscito a dare un nome a quel sacerdote anziano e spesso silenzioso che gli vedeva accanto: si trattava proprio di don Francesco Vittorio Massetti! Infine, il vescovo ha sottolineato come tra le tante cose realizzate da don Vittorio, la più grande sia stata quella di rimanere fedele alla Chiesa durante tutta la persecuzione subita.
L’Atlante Storico del Concilio Vaticano II, diretto da Alberto Melloni e curato da Enrico Galavotti e da Federico Ruozzi, tutti docenti di Storia del Cristianesimo, è edito dalla Jaca Book e costituisce quasi il sesto volume della monumentale opera Storia del Concilio Vaticano II, curata da Giuseppe Alberigo. Come Alberigo si era ispirato alla Storia del Concilio di Trento di Jedin per realizzare la sua più importante opera sul Vaticano II, così Alberto Melloni ha tratto spunto dallo stesso storico tedesco e dal suo Atlante di Storia della Chiesa per realizzare l’opera che presentiamo. Il volume è un indispensabile strumento non solo per gli specialisti, ma per chiunque voglia accostarsi allo studio di quello che, giustamente, è stato definito l’evento storico religioso più importante del XX secolo.
L’atlante si sviluppa su un duplice asse spazio-temporale. Da una parte ripercorre l’intera storia del Concilio Vaticano II, dall’annuncio dato da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, alla sua chiusura, ad opera di Paolo VI, l’8 dicembre 1965. Il lettore è così guidato per l’intero arco temporale delle 4 sessioni in cui il Concilio si è svolto. Dall’altra si mostrano i luoghi e gli spazi nei quali il Concilio si svolse: mentre alcune planimetrie (p. 80 e p. 88) ci mostrano la conformazione dell’aula conciliare e come i padri vi erano disposti, altre addirittura ci offrono la possibilità di capire presso quali istituti erano alloggiati i vescovi (p. 149) o dove avevano sede le avarie commissioni, conferenze episcopali e gruppi. Per comprendere le modalità di svolgimento e attuazione dei vari periodi del Concilio, sono utili le infografiche relative alle frasi antepreparatoria e preparatoria (p.51) e ai regolamenti procedurali (pp. 100-101).
Per quanto riguarda coloro che presero parte ai lavori conciliari, una tavola, oltre a fornire tutti i nomi dei partecipanti, in ordine alfabetico, illustra anche a quali sessioni hanno presenziato (pp. 265-277). Al fine della ricerca, risultano anche molto utili le tavole che indicano i componenti degli organi direttivi del Concilio e delle Commissioni (pp.126-133). Un ottimo apparato fotografico consente di dare un volto a molti dei protagonisti dell’assise ecumenica e la scelta di arricchire l’opera con un abbondante numero di foto dell’epoca, tutte in altissima definizione, mette in evidenza la volontà degli autori di raccontare un Concilio che non è costituito solo da documenti, ma soprattutto da quelle persone che, provenendo da ogni parte del mondo, hanno contribuito a scrivere questa importante pagina della storia della Chiesa. Questa operazione, che restituisce viva plasticità al Concilio, è facilitata anche da un buon numero di grafici, istogrammi “a torta” e cartine geografiche (pp.84-87) che ci illustrano la composizione dei padri conciliari per provenienza.
Non mancano cifre e curiosità come ad esempio quelle che riguardano i costi per la realizzazione del Concilio, calcolati in 4.562.007.733 di lire o quelle inerenti i momenti di relax per i padri conciliari, per i quali all’interno della Basilica Vaticana vennero istituiti due punti di ristoro dai nomi biblici “Bar-Jona” e “Bar-Abba” (p. 147)!
ROMA – Martedì 17 maggio, alle ore 17.00, presso la Sala Guglielmo Marconi di Radio Vaticana è stato presentato il volume La diplomazia pontificia. Aspetti Ecclesiastico-canonici di Matteo Cantori, giovanissimo autore osimano al suo esordio. Hanno relazionato sul tema Mons. Giovanni Tonucci, Delegato Pontificio per la Basilica della Santa Casa e già Nunzio Apostolico in Bolivia, Kenia, Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia e Pierre-Yves Fux, Ambasciatore della Confederazione Elvetica presso la Santa Sede. Ha fatto gli onori di casa il Dott. Fabio Colagrande, redattore di Radio Vaticana.
Introducendo l’incontro, il Dott. Colagrande ha esordito dicendo che il volume di Matteo Cantori va a colmare un vuoto che era avvertito anche dagli operatori del mondo della comunicazione. Il lavoro, rigoroso e scientifico e allo stesso tempo divulgativo, ha un taglio storico e aiuta a comprendere il compito di un nunzio pontificio che può essere definito un “ambasciatore sui generis” poiché unisce alle tradizionali funzioni diplomatiche quelle pastorali. Proprio giovedì scorso il Papa, in visita alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, l’istituzione che ha il compito di formare i diplomatici della Santa Sede, ha detto che l’opera del nunzio apostolico deve essere ispirata a intelligenza, arte e carità. Possiamo dire che sotto il pontificato di Papa Francesco i nunzi saranno chiamati a disegnare una geopolitica della misericordia attraverso una diplomazia della tenerezza.
Mons. Tonucci ha affermato che il lavoro che si svolge nelle nunziatura, come quello nelle ambasciate, è poco conosciuto e questo non permette di rendersi conto di quanto le ambasciate siano strumenti di dialogo sincero, aperto e schietto. Facendo una battuta, il prelato ha affermato che i politici combinano i guai e i diplomatici li risolvono! Nel suo servizio, un nunzio apostolico è chiamato a gestire i rapporti fra la Santa Sede e gli stati, proprio come farebbe qualsiasi altro diplomatico. Inoltre egli si interessa dei cattolici che vivono nello stato nel quale è accreditato. La sua attività è molto più sbilanciata su questo versante. In particolare, suo gravissimo compito è quello di aiutare il Papa nella scelta di chi può essere vescovo. Nella sua attività di ambasciatore del Papa, il nunzio non crea interferenze o sovrapposizioni con l’episcopato locale, poiché egli può intervenire direttamente nella vita della Chiesa locale solo se espressamente richiesto dalla Santa Sede. Il testo di Matteo Cantori aiuta ad addentrarsi in queste dinamiche e, come già detto, colma un vuoto, poiché testi autorevoli come quello di Mons. Cardinale e di Mons. Oliveri non sono più in commercio.
Ha preso poi la parola Sua Eccellenza Pierre-Yves Fux che ha ricordato come una volta, durante un viaggio in treno, un abate gli abbia chiesto come mai la Santa Sede non si decida a chiudere le nunziature. L’episodio denota ancora una volta come il lavoro delle nunziature sia sconosciuto e sottovalutato. La lettura del volume di Matteo Cantori avrebbe potuto dare a quell’abate una esauriente risposta! Il nunzio è un po’ come il decano del corpo diplomatico ed è in questo ambiente una figura più stabile rispetto a quella degli ambasciatori che cambiano sede diplomatica ogni 4 anni. Inoltre, il nunzio, quando scoppia una guerra e le ambasciate hanno l’obbligo di essere evacuate, è sempre l’ultimo ad abbandonare il suo ufficio. Per queste caratteristiche è diventato un importante punto di riferimento nel mondo delle relazioni internazionali. Per quanto riguarda l’attività diplomatica della Confederazione Svizzera e della Santa Sede si possono notare alcune affinità: sia la Svizzera che la Città del Vaticano sono stati neutrali, entrambe hanno una naturale vocazione nella promozione del diritto umanitario. Non bisogna poi dimenticare che fra gli svizzeri vengono reclutati gli uomini che difendono la vita del Papa. Nell’attuale contesto storico, oltre alla diplomazia degli stati, si rivela particolarmente preziosa quella delle religioni, portata avanti proprio dai nunzi.
Anche se datato, Da Malthus al razzismo verde di Antonio Gaspari, non perde mai di attualità, poiché i temi ecologici oggi sono molto presenti nel pubblico dibattito. Se da una parte, giustamente, ci si preoccupa per la cura della nostra casa comune, dall’altra si ignorano quasi completamente le ombre e le molteplici ambiguità insite nel pensiero di scienziati, naturalisti e studiosi che possono essere considerati i padri dell’odierno ambientalismo.
Per questo l’autore ha raccolto nel suo libro numerose biografie di coloro che hanno influito sul nostro modo di pensare la questione ambientale, mettendone in luce alcune contraddizioni. Si parte da Robert Malthus (1766-1834), un pastore anglicano, noto per le sue teorie sulla popolazione. Secondo Malthus, la popolazione tende a crescere in progressione geometrica (1,2,4,8, ecc.) mentre le risorse crescono in progressione matematica (1,2,3,4, ecc.). Per Malthus, ciò avrebbe portato nel tempo a una penuria di risorse se non si fosse intervenuti per tempo. La soluzione, secondo il pastore anglicano, doveva essere necessariamente quella del controllo delle nascite, cioè mantenere basso e costante il numero della popolazione mondiale.
Malthus sembrava ignorare il fatto che l’uomo, attraverso la sua intelligenza e l’uso della tecnologia, riesce a migliorare le proprie condizioni di vita e che dunque l’essere umano non può essere considerato un problema. Inoltre, la sua teoria apriva le porte a inquietanti domande: come si sarebbe attuato il controllo delle nascite? Chi avrebbe dovuto rinunciare a riprodursi? E chi invece avrebbe avuto il diritto di perpetuare la specie?
Ispirandosi alle teorie di Malthus, Charles Darwin (1809-1882) formulò la teoria dell’evoluzione, secondo la quale gli esseri viventi si evolvono attraverso la selezione naturale: solo i più forti resistono, mentre i più deboli soccombono.
Molto spesso si pensa, in modo semplicistico, che la Chiesa non abbia accolto la teoria dell’evoluzione perché essa declasserebbe a “favoletta” la storia di Adamo ed Eva e, conseguentemente, farebbe venir meno l’origine divina della famiglia umana. In realtà la Chiesa si è subito preoccupata per le conseguenze morali e antropologiche della teoria dell’evoluzione perché questa avrebbe potuto giustificare e alimentare, come poi di fatto è accaduto, le diseguaglianze fra gli uomini.
Francis Galton (1822-1911), sulla scia delle teorie del cugino Darwin, pensò che la selezione naturale dovesse ora essere portata avanti dall’uomo al fine di migliorare la specie umana: solo i migliori dovevano riprodursi, mentre ai cretini e agli idioti tale possibilità doveva essere preclusa. Galton chiamò questa selezione artificiale eugenetica.
È impressionante come le idee di Darwin e Galton furono accolte ed utilizzate allo stesso tempo da liberali, socialisti e nazisti in paesi assai diversi fra loro come Stati Uniti (primo paese ad adottare una legge ispirata all’eugenetica nel 1907), Svezia (una legge eugenetica fu in vigore dal 1934 fino addirittura al 1976) e Germania (la legge risale al 1933 e fu uno dei primi provvedimenti presi da Hitler).
La teoria dell’evoluzione influenzò anche Herbert Spencer (1820-1903) che l’applicò in campo economico e sociale dando vita al darwinismo sociale. Secondo Spancer, lo stato non deve intervenire in maniera sussidiaria per difendere i poveri, i deboli e gli ammalati, perché si andrebbe ad aiutare la parte più infima della società, consentendole di sopravvivere. Dunque, secondo Spencer, gli svantaggiati dovrebbero essere abbandonati al loro destino al fine di fare emergere solo la parte forte della società.
A questo modello “anti-solidale” non sfuggì neppure Ernst Haeckel (1834-1919), lo scienziato che coniò il termine “ecologia”. In un passo della sua Storia della creazione naturale afferma che il modello di sviluppo delle odierne società si dovrebbe basare su quanto messo in pratica nella antica città di Sparta, dove tutti i bambini deboli, ammalati o fisicamente inidonei venivano soppressi.
Il cristianesimo, essendo una religione, si preoccupa innanzitutto del rapporto di Dio con l’uomo. Eppure è impressionante vedere come questa religione abbia influito in modo positivo sui più vari campi dell’esperienza umana. La grande storia della carità, scritto da Francesco Agnoli, mostra come la visione cristiana abbia permesso alla medicina di svilupparsi ed evolversi.
L’autore, come ha fatto già in altri suoi libri, mette a confronto il cristianesimo con altre visioni ed esperienze religiose e mostra come solo all’interno del cristianesimo sia stata possibile una particolare alleanza fra religione e medicina.
Se, in effetti, i greci sono stati i primi a interessarsi in modo teorico alla cura del corpo, solo col cristianesimo è nata quell’istituzione grazie alla quale i malati sono concretamente curati: l’ospedale. L’autore mette a confronto la visione greca e quella cristiana: nella prima Dio (il Dio dei filosofi) è oggetto di amore, ma non ama nessuno, perché amare vorrebbe dire abbassarsi e degradarsi; nel cristianesimo, invece, Dio è appassionato per la sua creatura e interviene per salvarla, al punto di mandare il suo unico Figlio.
L’attenzione per l’altro, specialmente se malato e sofferente, diventa allora nel cristianesimo emulazione della passione di Dio per l’essere umano. È grazie a questa rivoluzione che i cristiani non sfuggono davanti alle epidemie, come la peste, ma si mettono in moto per alleviare le sofferenze dei loro simili.
Sono poi i misteri dell’Incarnazione e della Passione le fonti che ispirano l’agire di molti cristiani: se il Verbo di Dio è stato bambino, allora il fanciullo acquisisce una nuova dignità che la cultura antica non gli riconosceva. Ecco allora che si spiegano la nascita di strutture specifiche per la cura dell’infanzia come brefotrofi e orfanotrofi.
L’immagine di Cristo sofferente si concretizza in ogni malato e dunque le cure prestate ai pazienti diventano opere di bene verso il Signore Gesù. Ma è lo stesso Gesù che ha guarito da malattie e sofferenze e dunque l’azione medica diventa un’estensione della opera salvatrice di Cristo.
Nel libro si fa più volte accenno a come anche la bellezza sia stata impiegata per la cura dei malati: negli ospedali non mancavano opere d’arte o della buona musica! Basta pensare a nomi come l’ospedale di Santa Maria della Scala a Siena o l’Hotel Dieu a Beaune in Francia.
Non mancano i nomi e le storie di santi e sante che hanno speso la loro vita in favore dei malati e dei bisognosi come Fabiola, che insieme al senatore Pammachio costruì quello che può essere considerato il primo ospedale della storia, Francesco che abbracciò un lebbroso dando a questo tipo di malati nuova dignità, Camillo de Lellis e Giovanni di Dio e molti altri.
Sulla scia di una certa cultura ottocentesca, impastata di positivismo, a scuola abbiamo spesso imparato che fra religione e scienza ci sia una radicale opposizione riassunta nel motto “o si pensa o si crede”. Ma questa, appunto, è il punto di vista di una istanza culturale che vede solo nella materia il compimento dell’essere. Per i credenti la scienza è un modo per conoscere e avvicinarsi al Creatore di tutte le cose.
Generalmente si crede che gli scienziati siano atei poiché lo spirito religioso si opporrebbe alla ricerca. Ma le cose non stanno proprio così. Lo sa bene Francesco Agnoli che ha scritto diversi libri e opuscoli sul rapporto fra fede e scienza. Fra questi vorremmo segnalare La forza della preghiera nelle parole degli scienziati, edito da Fede & Cultura.
L’autore, oltre a riportare le preghiere di alcuni illustri scienziati come Newton, Galvani e Maxwell, ripropone un testo sulla preghiera di Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina nel 1912 che una decina di anni prima del conferimento del prestigioso riconoscimento si era convertito al cattolicesimo durante un viaggio a Lourdes.
Fra i testi che Agnoli prende in considerazione, ci vorremmo fermare su queste parole di Giovanni Keplero, scopritore delle leggi che trattano del moto dei pianeti e che portano il suo nome. Così scrive lo scienziato al termine della sua opera Harmonices mundi, pubblicata nel 1618:
“A te che con la luce della natura alimenti in noi il desiderio della tua grazia onde possiamo godere della tua gloria, a te rendo grazie, mio Signore e mio Dio, perché tu mi hai fatto provare gioie e godimento in tutto ciò che tu hai creato, in tutto tutto ciò che è frutto delle tue mani preziose. Vedi, o Signore, io ho completato questo lavoro per il quale ero stato chiamato. Per farlo ho utilizzato quella forza della mente che tu mi hai donato. Ho mostrato agli uomini la magnificenza della tua opera o almeno quella parte della tua infinita grandezza che la mia mente è riuscita a capire”.
Queste parole, in trasparenza, ci mostrano quale back-ground filosofico e culturale abbia permesso la nascita della scienza in ambito europeo e cristiano. L’universo viene concepito come un orologio meccanico (Creato), opera di un orologiaio (Dio). Non si tratta, come nell’antichità, di una natura divinizzata e abitata da spiriti ai quali sono attribuiti i fenomeni naturali.
Fare scienza allora significa, come per Galilei, cercare nel Creato le impronte del Creatore: la conoscenza delle leggi che Dio ha impresso nella natura, non può fare altro che farci conoscere meglio la volontà del Creatore.
Nelle parole dello scienziato, tutto sembra afferire alla logica del dono: l’intero universo, come le facoltà umane per comprenderlo, provengono dal Creatore. Il lavoro dello scienziato è considerato da Keplero come una vera e propria vocazione: è Dio che chiama l’uomo di scienza a scoprire le leggi che regolano l’universo e ciò può avvenire solo attraverso un atto di contemplazione e di stupore per le meraviglia delle cose create. Per un tale compito, Keplero ritiene che sia necessaria una buona dose di umiltà che nasce dalla sproporzione fra la grandezza dell’universo che si vuole conoscere e la piccolezza dell’uomo che la vuole comprendere.
Dopo Viaggio nella Cappella Sistina (Rizzoli, 2013) Alberto Angela continua a esplorare le meraviglie del Vaticano con un libro dedicato a dove tutto è nato. San Pietro. Segreti e meraviglie in un racconto lungo duemilla anni è la affascinante storia di uno dei luoghi più cari ai cattolici di tutto il mondo.
Il volume, che si articola in 9 capitoli, ripercorre, seguendo un percorso storico, le tappe dello sviluppo della basilica vaticana. Ogni paragrafo, della lunghezza di un articolo di giornale, è corredato da un ottimo apparato iconografico che aiuta il lettore ad avvicinarsi a questo luogo straordinario sia dal punto di vista storico, che da quello artistico e religioso.
Forse i capitoli più interessanti sono i primi tre, perché raccontano di fatti e luoghi che solitamente sfuggono al pellegrino e/o turista. Il primo capitolo è dedicato alla necropoli vaticana che è possibile visitare solo su prenotazione. Si tratta dei un’antica necropoli pagana che oggi si trova nella zona corrispondente alla navata centrale, (nella parte compresa fra il baldacchino del Bernini e metà navata) e che nell’antichità si trovava a ridosso del Circo di Nerone.
In mezzo a questi sepolcri pagani, in quello che gli studiosi chiamano “Campo P”, negli anni ’60 del primo secolo venne sepolto San Pietro. Un centinaio di anni dopo, i cristiani, per conservare la memoria del luogo dove si trovavano le spoglie del Principe degli Apostoli, costruirono un piccolo monumento funebre, chiamato “Trofeo di Gaio”.
Nel secondo capitolo si parla della costruzione dell’antica Basilica di San Pietro. Quella che vediamo oggi infatti è un rifacimento del XVI secolo, ben diversa dall’originale. L’antica Basilica di San Pietro fu costruita dall’imperatore Costantino nel luogo dove sorgeva la necropoli. Essa si presentava a cinque navate. Vi si accedeva dopo aver attraversato un quadriportico. Per custodire e proteggere il Trofeo di Gaio (e la sottostante tomba di Pietro), Costantino fece edificare la cosiddetta “Memoria Costantiniana”.
Nel terzo capitolo l’autore si sofferma su parecchi “cimeli” dell’antica basilica che sono stati reinseriti in qualche modo nell’attuale basilica. Basta pensare al grande disco di porfido rosso che si trova appena si varca l’ingresso della chiesa: si tratta del luogo dove la notte di Natale dell’800 Carlo Magno venne incoronato imperatore. Sullo stesso disco di porfido verranno incoronati in seguito altri imperatori e si può dire che qui è passata la storia dell’Europa.
Ma che dire poi della statua di San Pietro di Arnolfo di Cambio, della “Cattedra di San Pietro” inglobata in quella monumentale del Bernini, del gallo che oggi si trova nel museo e che nel passato si trovava sul campanile della chiesa, di questi e di altri oggetti che hanno una storia e un segreto da raccontare?
Davvero un bel libro, facile da leggere e piacevole da guardare con tutte le sue belle immagini.
Il viaggio apostolico di Papa Benedetto XVI nel Regno Unito che si svolse nel settembre 2010 fu preceduto da non poche polemiche, sia nelle piazze che sui media. Per quanto possa essere paradossale, in una cultura che si vanta delle proprie aperture, sembrava non esserci spazio per il capo della Chiesa Cattolica.
In questo contesto, Austen Ivereigh e Jack Valero, due cattolici che operano nel mondo della comunicazione, non si persero d’animo, raggrupparono una trentina di “ordinary catholics”, che in 6 mesi di Media Training trasformarono in capaci comunicatori della propria fede sui temi più scottanti dell’attualità. Fu un successo: le “voci cattoliche”, formate per trasmettere nel modo più efficace il messaggio cristiano attraverso i media, diedero oltre 100 interviste radio/tv, contribuendo a migliorare in modo significativo l’immagine della Chiesa nel Regno Unito.
Nasceva così Catholic Voices che nel corso di questi quattro anni si è estesa in ben 15 paesi. Fra questi, da poco, c’è anche l’Italia. Per conoscere meglio questa realtà abbiamo intervistato Martina Pastorelli, fondatrice di Catholic Voices Italia e curatrice del libro che ne spiega il metodo, intitolato “Come difendere la fede senza alzare la voce” (ed. Lindau).
Perché Catholic Voices Italia?
Tutto nasce da un’esperienza molto personale. Sposata con un non credente e circondata da amici di impronta liberal, mi sono trovata sempre più spesso chiamata in causa per la mia fede, quasi a dover “giustificare” certe posizioni della Chiesa. All’inizio erano confronti animati, da cui uscivo scoraggiata e sentendomi non capita, poi un bel giorno la reazione cambia e mi sento dire: “E’ così che quelli come voi riusciranno a portare dalla vostra parte, su certi temi, quelli come noi”. Cos’era successo? Che nel frattempo mi ero imbattuta in Catholic Voices e ne avevo applicato il metodo, che spiega come il linguaggio e il modo con cui ci si pone facciano la differenza. Si tratti della pausa caffè al bar coi colleghi piuttosto che di un dibattito pubblico, il cattolico del gruppo finisce spesso per dover rendere conto della propria fede. Ecco, in queste circostanze, sapere argomentare il maniera umana, chiara e pacata è essenziale. Papa Francesco, tra l’altro, ce lo dimostra ogni giorno.
Qual è il punto di forza del metodo di Catholic Voices?
Il metodo, chiamato reframing, insegna a individuare in ogni critica mossa alla Chiesa, anche la più ostile, un’intenzione positiva, un valore che è quasi sempre (anche se inconsciamente) cristiano e parte da questo terreno comune per riformulare l’argomento e far riflettere sulla posta in gioco. E’ un metodo che permette di uscire dalla logica del conflitto, a mettere da parte aggressività e vittimismi, a fare appello alla ragione, al buon senso. A entrare in un rapporto prima di tutto umano con l’altro. Crea empatia, che è il presupposto di ogni dialogo.
Possiamo dire che il progetto di Catholic Voices porta avanti una nuova forma apologetica?
Sì, una nuova apologetica, che sa parlare alla società di oggi, anche attraverso i suoi mezzi di comunicazione, così centrali. Si tratta di equipaggiare i cattolici, aiutarli a spiegare nel modo più efficace i valori in cui crediamo e l’impegno autentico della Chiesa per il bene comune. L’obiettivo è riuscire a dialogare con tutti, credenti e non, sui temi che toccano l’intera società, proprio perché è in gioco il bene della società stessa. In questo raccogliamo l’invito di Papa Francesco che ha chiamato i cristiani “a dialogare con quelli che non la pensano come noi, con quelli che hanno un’altra fede o che non hanno fede”. Il Papa ci ha ricordato che possiamo andare incontro a tutti senza paura e senza rinunciare alla nostra appartenenza.
Quali iniziative concrete sta portando avanti Catholic Voice in Italia?
Catholic Voices si articola in corsi di media training per quanti intervengono nel dibattito pubblico (il primo partirà a Roma tra pochi giorni) ma si rivolge anche a un pubblico più vasto con il libro “Come difendere la fede senza alzare la voce”, che applica il metodo del reframing ai temi più controversi e suggerisce i punti chiave da mettere in evidenza per spiegare la posizione della Chiesa, riuscire a vincere i pregiudizi e riavviare il dialogo con umanità e buon senso.
Qual è il rapporto di Catholic Voices con la gerarchia cattolica?
Catholic Voices non parla ufficialmente a nome della Chiesa ma ne ha la benedizione e ne rispetta in toto la leadership e la dottrina. In tutto il mondo ha ricevuto ampi consensi tra i vescovi e i massimi esponenti della Chiesa: penso ad esempio al Cardinale e Arcivescovo di New York, Dolan, grande fan del progetto o all’Arcivescovo di Westminster Nichols, che ha definito “cruciale” il tentativo di CV di mettere insieme fede e ragione nel dibattito pubblico.
empo di Misericordia del giornalista inglese Austen Ivereigh è sicuramente una delle più complete biografie su Papa Francesco. L’autore, in nove capitoli, ognuno di una cinquantina di pagine, ripercorre la vita del primo pontefice latino-americano, dalle origini fino all’elezione a successore di Pietro.
Il volume, di taglio prevalentemente storico, ha il pregio di narrare la vita di Bergoglio tenendo sempre presente i contesti nei quali si sono svolte le vicende dell’attuale pontefice. La vita di Bergoglio è così indissolubilmente associata alla famiglia d’origine, alla città di Buenos Aires, alla situazione politica dell’Argentina, alle vicende della Compagnia di Gesù e allo sviluppo della Chiesa in America Latina.
La figura di Papa Francesco ha portato moltissime persone in ogni parte del globo ad avere una rinnovata attenzione verso la Chiesa, eppure la sua persona è stata spesso oggetto delle più svariate critiche, anche prima del sua salita al Soglio di Pietro. Si è parlato di lui come di un comunista, di un progressista, ma allo stesso tempo si è anche detto di lui che era un conservatore!
L’analisi attenta dell’autore consente di fare chiarezza sul personaggio Bergoglio e di liberarlo dalle gabbie ideologiche nelle quali spesso lo si è voluto imprigionare. Ad esempio, coloro che conoscono poco la storia della Chiesa in America Latina, quando hanno sentito Papa Francesco parlare di una “Chiesa povera per i poveri”, hanno associato questo discorso alla Teologia della Liberazione, la visione teologica, nata in America Latina, che rilegge l’avvenimento cristiano alla luce dell’ideologia marxista.
Austen Ivereigh spiega invece molto bene come Bergoglio sia invece in sintonia con la Teologia del Popolo, una variante Argentina della Teologia della Liberazione che mette al centro della propria riflessione la sensibilità religiosa e la cultura delle popolazioni latino-americane e che, a ben vedere, ha poco a che fare con la Teologia della Liberazione.
Un’altra caratteristica della Teologia del Popolo è quella di mettere al centro la gente comune come soggetto attivo nella costruzione della società, mentre nella visione marxista il popolo è piuttosto la massa da educare e lo strumento attraverso il quale giungere al potere.
Benché sia nella Teologia della Popolo che in quella della Liberazione si parli di “popolo”, è evidente che gli approcci siano completamente diversi. Questa diversità di vedute spaccava anche la Compagnia di Gesù: da una parte c’erano quelli che come Bergoglio volevano un contatto vivo con i poveri e gli ultimi (con lo slogan “i sandali senza i libri) dall’altra c’erano coloro che volevano teorizzare modelli utili per migliorare le condizioni dei poveri (con lo slogan “i libri senza i sandali).
La visione di Bergoglio si ispirava al carisma di Ignazio di Loyola e all’azione dei missionari gesuiti che nelle reducciones avevano portato il vangelo alle popolazioni locali avendo con esse un assiduo contatto. Per questa sua fedeltà alle origini della Compagnia di Gesù Bergoglio fu considerato un conservatore.
Il volume è ricco infine di testimonianze dirette di molte persone che hanno conosciuto da vicino Bergoglio, di rimandi a quelle che sono le sue fonti spirituali e le sue letture e tutto ciò fa sì che sia davvero un libro da leggere se si vuole conoscere a fondo l’attuale pontefice