Nicola Rosetti
ARTE – Con l’articolo di oggi cominciamo a scoprire un altro gioiello di Roma, anche questo, come la Cappella Sistina, inserito nel circuito dei Musei Vaticani. Si tratta delle Stanze di Raffaello: quattro sale dipinte dall’Urbinate e dai suoi allievi sotto i pontificati di Giulio II e di Leone X.
Iniziamo la visita dalla stanza che è stata decorata per ultima dagli allievi di Raffaello, dopo la morte del maestro: la Sala di Costantino. Sulle quattro pareti vengono narrate le storie del primo imperatore romano convertito al cristianesimo. Questo ambiente veniva utilizzato dai pontefici come sala di rappresentanza.
Nel primo dipinto Giulio Romano illustra la visione di Costantino. Il comandate romano sta incitando i suoi soldati prima della battaglia ( 28 ottobre 312), quando a un certo punto vede nel cielo una croce con scritto in greco: “Con questo segno vincerai”. Sullo sfondo si notano 4 elementi che visivamente ci fanno cogliere tutta la storia di Roma.
Scorgiamo infatti una piramide, la cosiddetta “”Meta Romuli”, ovvero la tomba del fondatore di Roma che nell’antichità si doveva collocare dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria in Traspontina in via della Conciliazione. Questa tomba dunque ci ricorda l’inizio della storia di Roma. Vediamo poi un altro monumento funebre, la tomba di Adriano, l’attuale Castel Sant’Angelo.
La Mole Adriana ci ricorda la Roma imperiale e pagana. Andando ancora oltre possiamo osservare il Ponte Milvio, dove il giorno dopo Costantino combatterà la battaglia contro il suo rivale Massenzio. Il Ponte Milvio rappresenta il momento di passaggio dalla Roma pagana alla Roma cristiana. Infine vediamo il Monte Vaticano, dove Costantino farà costruire in seguito la Basilica di San Pietro. Esso rappresenta la Roma cristiana.
Giulio Romano con la collaborazione di Giovanni Francesco Penni ha realizzato la successiva scena: la battaglia di Ponte Milvio. I soldati, su ordine di Costantino, hanno issato sulle loro insegne il simbolo della croce e stanno combattendo contro i loro nemici sul Ponte Milvio che si vede nella parte destra della composizione. Costantino conduce la battaglia cavalcando un cavallo bianco mentre il suo rivale Massenzio affoga, insieme al suo cavallo, nel fiume Tevere.
La sorte di Massenzio fa tornare in mente quella del Faraone Egiziano e del suo esercito. È evidente il parallelismo che gli artisti hanno voluto creare: come Dio favorì gli ebrei salvandoli dal Faraone, così Dio ha appoggiato Costantino contro Massenzio. I tre angeli che assistono alla battaglia infatti stanno proprio a significare questo privilegio.
Gli allievi di Raffaello hanno poi dipinto sulla terza parete il leggendario Battesimo di Costantino. Secondo la leggenda (che non ha corrispondenze con la verità storica), Costantino è stato battezzato dal Papa Silvestro, che qui ha le sembianze di Clemente VII, nel battistero lateranense. Su due colonne vediamo appoggiati i due uomini più potenti del ’500: su quella di sinistra l’Imperatore Carlo V, mentre su quella di destra il re francese Francesco I.
Nell’ultimo dipinto vediamo rappresentata la Donazione di Costantino. In una struttura che ricorda l’antica basilica di San Pietro, l’imperatore inginocchiato dona a Papa Silvestro, che siede su un trono, la città di Roma.
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Durante il Convegno Fides Vita abbiamo avuto la possibilità di avvicinare e intervistare Paul Bhatti, Ministro pakistano per l’Armonia Nazionale e fratello di Shahbaz Bhatti, vittima dell’odio anticristiano
Vorrei iniziare questa intervista ricordando suo fratello Shabaz Bhatti, l’uomo politico che ha pagato col sangue la difesa delle minoranze religiose in Pakistan. Anche se la Chiesa non lo ha ancora ufficialmente riconosciuto come tale, egli è a tutti gli effetti un martire dei nostri giorni. Perdere un fratello deve essere stato drammatico per lei. La fede le ha portato conforto, è riuscita a darle consolazione?
ShahBaz era mio fratello minore e ha dato una testimonianza molto forte. Noi crediamo, come è evidente nelle sue dichiarazioni e anche nella la sua lotta, che lui è a tutti gli effetti è martire. Il Vaticano lo ha conosciuto come tale anche se la procedura legale richiede un determinato tempo e un particolare percorso prima di un riconoscimento ufficiale. Dopo l’assassinio di mio fratello ho incontrato il Papa e lui mi ha fatto le condoglianze e mi ha subito detto che considerava Shahbaz come un martire. Perciò noi, insieme con la chiesa, siamo convinti che egli abbia vissuto il suo sacrificio come un martire. Per me chiaramente ci sono due aspetti: da una parte, come fratello col quale avevo un legame affettuoso molto forte, è stato molto scioccante, molto molto triste perché per me oltre che un fratello era un amico e sapevo che stava portando avanti un lavoro importante. D’altra parte quando oggi vedo che lui, con la sua testimonianza, ha trasmesso un messaggio a tutto mi faccio coraggio e lo ricordo con onore.
Quali erano i sentimenti di suo fratello mentre ricopriva l’incarico di ministro per le minoranze etniche? Era sereno o consapevole dei rischi ai quali andava incontro?
Lui parlava molto di dialogo interreligioso e oltre al dialogo cercava di attuare una relazione interreligiosa in modo tale da far convivere le diversità e questo è particolarmente difficile in una parte del mondo dove regnano l’estremismo, il fanatismo, il terrorismo e la violenza. Un conto è essere un politico e dare testimonianza in occidente e un conto è esserlo dove sai benissimo che da un momento all’altro ti possono sparare. Nonostante questo Shahbaz ha avuto coraggio, si è impegnato con convinzione per perseguire la pace e lo ha fatto senza mai nascondere la sua fede cristiana
Il dialogo interreligioso è portato avanti solo dai cattolici oppure è un cammino condiviso anche dagli altri gruppi religiosi?
Ora c’è una certa condivisione ma l iniziativa è partita dai cattolici e particolarmente da mio fratello. Poi hanno aderito molti musulmani moderati. Come cattolici abbiamo cercato di creare un tavolo per intraprendere il dialogo interreligioso ed ora molti sono musulmani, indù, buddisti, sik e membri di altre comunità religiose minoritarie che si sono seduti ad esso
Il Papa ha ricordato in più di una circostanza il sacrificio di suo fratello. La voce del Santo Padre giunge in Pakistan ed è di sostegno alla comunità cattolica lì presente?
Certo. Sicuramente il Papa è una voce importante e una parola detta da lui infonde forza ai cristiani. Specialmente quando il Papa ha parlato di mio fratello e del suo martirio, ciò è stato di molto aiuto per la nostra famiglia e per tutta la comunità cristiana
Uno dei valori fondamentali dell’occidente è la tolleranza. L’uomo europeo la dà per scontata, ma purtroppo non è così in tutte le parti del mondo. In Pakistan per esempio i cristiani vivono fra molte difficoltà. Ci può descrivere quali sono le maggiori sofferenze che i nostri fratelli nella fede devono affrontare?
In Pakistan attualmente i cristiani vivono una situazione molto difficile perché tutto il paese è instabile: oltre ad aver avuto 2 guerre con l’India, l’invasione sovietica, ora il nostro paese lotta contro il terrorismo insieme agli occidentali. In questo clima instabile sono nati alcuni gruppi estremisti che nelle scuole fanno il lavaggio del cervello ai bambini che imparano così una ideologia anticristiana. Di conseguenza si è formato in una parte della popolazione, non tutta, una forte odio verso i cristiani. Quando c’è un malinteso fra due persone, se una è musulmana e l’altra cristiana, quest’ultima si sente debole. In alcuni casi addirittura sono stati bruciati dei villaggi, e alcuni cristiani sono stati arsi vivi. Tutto questo accede perché ci sono generazioni cresciute nell’odio
Quali sono i rapporti fra il Pakistan e l’Italia? Ricevete dal nostro paese qualche aiuto nel campo della tutela della libertà religiosa?
Sì, direi che ci sono buoni rapporti anche perché avendo vissuto per molti anni in Italia, vengo considerato dal vostro Paese più italiano che pakistano! Rapporti abbastanza profondi, prima del governo monti avevo ottimi rapporti col ministro degli affari esteri Frattini, uno dei ministri più vicini a mio fratello. Frattini è andato in Paskistan a trovare mio fratello un paio di volte. Siamo anche andati insieme in Francia in un convegno con tutti i ministri degli affari esteri europei. Quando vado in parlamento ho un accoglienza molto notevole. Anche con l’attuale ministro siamo in buone comunicazioni. Anche se purtroppo l’Italia sta attraversando momenti difficili, il governo italiano è comunque vicino
I cristiani pakistani si sentono abbandonati dall’occidente?
Questa è una bella domanda ed è molto complesso rispondere perché da una parte i cristiani vorrebbero essere appoggiati dall’occidente e da un lato questo darebbe un certo supporto e incoraggiamento; dall’altro è controproducente poiché i cristiani del Pakistan prima di tutto si devono sentire pakistani e non occidentali. Quando per qualsiasi cosa l’occidente interviene allora ciò può acuire la divisione. Noi col dialogo interreligioso vogliamo che il Pakistan sia un paese dove le diversità riescano a vivere insieme. Le influenze dall’esterno non sono molto positive come per esempio nel caso di Asia Bibi: nonostante tutte le pressioni internazionali, non si è ancora riuscita a liberarla. Io ho fatto un appello affinché non si parli di Asia Bibi come di una causa dell’occidente perché magari col silenzio si può risolvere la questione a livello locale.
La situazione sta migliorando? Quali sono le più importanti iniziative che lei in qualità di ministro per l’armonia nazionale ha preso?
La situazione sta migliorando nonostante si sentono a volte notizie scoraggianti. In una società come quella pakistana ci vuole un po’ di tempo. Stiamo promuovendo il dialogo interreligioso ma anche la convivenza interreligiosa. Il ministero e la mia associazione hanno creato dei comitati formati dagli imam delle scuole religiose musulmane, dai vescovi cristiani e dai capi delle altre comunità religiose. Tutti insieme ci incontriamo e discutiamo su come intraprendere concretamente la via della pace. Io ho l’autorità di fare delle leggi sulla tolleranza religiosa, ma prima di emanare una legge ne parlo con questo comitato perché sia una legge il più possibile condivisa. Sto organizzando un convegno internazionale sul dialogo interreligioso in gennaio e abbiamo invitato esponenti del mondo occidentale e del mondo arabo. Dall’Italia verranno alcuni ministri come l’Onorevole Riccardi, il ministro degli affari esteri. Ci saranno poi leader religiosi musulmani importanti che si siederanno al tavolo con noi per formulare delle proposte per ridurre l’intolleranza in Pakistan
I leader musulmani pakistani prendono posizione in favore dei cristiani quando vengono ingiustamente perseguitati?
Sì ci sono capi religiosi che prendono le difese dei cristiani, ora stanno addirittura aumentando Recentemente abbiamo avuto il caso di una bambina, Rimsha, accusata di blasfemia. Ho seguito personalmente questo caso e ho contattato i leader musulmani per chiedere la loro collaborazione. Molti fedeli musulmani si stavano preparando a perseguitare i cristiani, ma i loro capi mi hanno ascoltato e il loro intervento ha scongiurato il peggio.
Abbiamo intervistato Paolo Lorizzo che scrive su ZENIT alcuni articoli che fanno conoscere al grande pubblico l’archeologia cristiana.
Molte chiese di Roma nascondono beni archeologici di grande valore storico e religioso. A che punto si trova la conoscenza da parte del grande pubblico di questi beni? Sono sufficientemente visitati dai fedeli e dai turisti, oppure necessitano di essere maggiormente pubblicizzati?
La maggior parte di essi sono conosciuti, ma a Roma sono presenti anche piccoli angoli, nicchie, veri e propri “gioiellini” che il grande pubblico purtroppo ignora. E uno degli obiettivi principali della mia collaborazione con ZENIT è proprio quello di far conoscere questi beni per rendere lo spettatore ancora più vicino a queste aree che, pur non essendo incluse negli itinerari classici, sono di grande interesse
Qual è lo scavo archeologico che lei ha visitato che maggiormente l’ha colpita?
Ci sono molti contesti ecclesiali che sono di grandissima rilevanza, potrei citare qualche catacomba e in particolare quella dei santi Marcellino e Pietro, una delle realtà veramente più interessanti dal punto di vista della fede e una delle più vaste. Mi sento particolarmente attratto dalle piccole chiese dimenticate come per esempio quella di San Bernardo alle Terme, alla quale ho recentemente dedicato un articolo si ZENIT, che si trova dietro alle terme di Diocleziano: ogni volta che ci entro, pur non avendo nulla di così appariscente dal punto di vista archeologico, mi trasmette quell’emozione carica di quasi 1700 anni di storia . La trasformazione in spazio religioso non ha cancellato del tutto, anzi ha conservato, la forma del predente spazio termale
L’archeologia cristiana può essere una via di catechesi? La vista a qualche scavo archeologico può toccare l’ambito della fede?
Sì certamente, l’importante è che si apprezzi l’aspetto artistico integrandolo con quello storico spirituale. Quando noi vediamo una bella statua, un bel monumento, o qualsiasi cosa che trasmette emozione, riusciamo a percepire il vero significato della parte storica artistica, vivendolo con il nostro sentimento, quindi con l’anima. Questa integrazione dell’aspetto spirituale con quello artistico è necessaria per poter cogliere in modo completo quelle strutture che sono state costruite per celebrare i sacramenti della Chiesa.
Secondo lei nella scuola statale è abbastanza approfondito il discorso religioso che c’è dietro a certi beni archeologici oppure si deve lavorare ancora molto in tal senso? C’è una lettura superficiale delle testimonianze archeologiche presenti a Roma?
Sicuramente la scuola si adopera molto per far conoscere i beni archeologici, storici e religiosi presenti a Roma. Io credo però che questo slancio debba partire dalla famiglia. Le scuole fanno molto per avvicinare i ragazzi a queste realtà, per esempio approvano dei progetti, ma se non c’è quella spinta, quella forza che viene dalla famiglia, molto spesso non si riesce a far capire l’essenza di un bene archeologico o artistico.
Per le sue imponenti dimensioni il Giudizio Universale è sicuramente l’opera di maggior impatto emotivo che troviamo nella Cappella Sistina. Il Giudizio Universale è l’ultima tappa della storia della salvezza, realizzata per volontà di Paolo III.Per dipingerlo Michelangelo ha tamponato le due finestre della parete di fondo della Cappella, sovrapponendosi alle precedenti opere quattrocentesche del Perugino (nascita di Mosè e nascita di Cristo) e dando vita ad una parete che per la sua forma ricorda le tavole della legge, quasi a dire che nell’ultimo giorno saremo giudicati sulla base del decalogo.
Il fulcro di tutta la composizione è il Cristo Giudice che con un gesto imperioso chiama i morti a risorgere. Accanto a lui, c’è sua madre Maria che intercede per la salvezza degli uomini. Se abbassiamo un po’ lo sguardo possiamo osservare degli angeli che suonano le 7 trombe del giudizio. Fra questi angeli ce n’è uno che regge il grande libro delle colpe. Un altro invece regge il piccolo libro dei meriti
Spostando la nostra attenzione verso sinistra vediamo i corpi dei morti che aprono i loro sepolcri e, rispondendo al cenno del Cristo, si elevano verso il cielo per risorgere con lui e come lui. Michelangelo ha dato corpo in queste immagini alla speranza cristiana della resurrezione della carne. Non solo l’anima sopravviverà in eterno, come pensavano i greci, ma anche la carne vedrà di nuovo la vita, perché per noi cristiani Gesù è il salvatore di tutto l’uomo, sia nella sua componente spirituale che in quella materiale
Fra i vari corpi che anelano alla salvezza, due, vicini agli angeli che suonano le trombe, salgono in cielo grazie a una corona del rosario. Attorno a Cristo e alla Vergine, sia a destra che a sinistra, c’è lo stuolo dei beati. Molti di essi sono riconoscibili dai caratteristici attributi iconografici.
Fra i molti riconosciamo: Cristina con i seni scoperti, i progenitori del genere umano Adamo ed Eva, Andrea che regge la croce decussata (= a forma di decus, cioè di 10 in numeri romani X), Lorenzo con la graticola, Bartolomeo con il coltello nella mano destra e la sua pelle in quella sinistra ( nel volto deformato si può scorgere l’autoritratto di Michelangelo), Pietro con le chiavi e Paolo con la barba lunga, Simone con la sega, Biagio con i pettini, Caterina d’Alessandria con la ruota dentata, Sebastiano con le frecce e Filippo con la croce.
Nella parte in alto gli angeli portano in gloria gli strumenti della Passione di Cristo: sulla sinistra possiamo vedere la croce e la corona di spine, mentre sulla destra la colonna della flagellazione e la canna con la spugna.
Concentriamoci ora sulla parte in basso a destra. Vediamo in questa parte l’infelicità di coloro che volontariamente non hanno corrisposto all’amore di Dio. Essi sono traghettati nel luogo infernale dal leggendario Caronte, mentre Minosse, avvolgendosi la coda attorno al corpo, dice ai dannati a quale parte degli inferi sono destinati.
Minosse ha le sembianze di Biagio da Cesena, il cerimoniere di Papa Paolo III, che aveva criticato Michelangelo per aver raffigurato nella cappella del Pontefice così tanti nudi. Il pittore non la prese bene e così raffigurò il prelato all’inferno. Questi chiese al Papa di intervenire per porre rimedio all’affronto, ma pare che Paolo III gli abbia risposto: “Cristo mi ha dato potere in cieli e in terra, ma non all’inferno!”.
Abbiamo così terminato questa breve introduzione alla Cappella Sistina che il Beato Giovanni Paolo II ha definito “Santuario della teologia del corpo umano”. Non rimane che fare visita a questo straordinario luogo per poterne apprezzare l’immensa bellezza.
Sisto IV fece decorare le pareti della Cappella Sistina da una squadra di pittori toscani guidata dal Perugino. Essi decorarono ogni parete dividendola in tre registri: in alto osserviamo i Papi Martiri, nel mezzo le storie di Mosè e di Cristo e in basso delle finte tende.A noi interessa il registro di mezzo dove i pittori hanno illustrato la storia della salvezza sotto la Legge (storie di Mosè sulla parete sinistra, ovvero quella a sud) e la storia della salvezza sotto la Grazia (storie di Cristo sulla parete di destra ovvero quella a nord). Le due storie sono poste una di fronte all’altra perché Mosè per noi cristiani è una prefigurazione di Cristo e come dice Sant’Agostino “il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, mentre l’Antico è svelato nel Nuovo”. Possiamo dunque leggere queste storie in parallello.
Il ciclo pittorico aveva inizio sulla parete di fondo dove oggi possiamo ammirare il Giudizio Universale di Michelangelo. Qui alla fine del 1400 avremmo potuto vedere sulla sinistra la nascita di Mosè e sulla destra quella di Cristo.
Fermando la nostra attenzione sul primo dipinto di sinistra, opera del Perugino, possiamo vedere un angelo che ferma Mosè, vestito di giallo e di verde, e gli impone di circoncidere suo figlio Eliezer. Del rito si occupa sua moglie Zippora. Sulla parete opposta, sempre ad opera del Perugino, troviamo il Battesimo di Cristo.
Nella parte alta vediamo l’Eterno Padre, attorniato da numerosi angeli, nell’atto di benedire, più in basso scorgiamo la colomba, simbolo dello Spirito Santo, che si posa sul Cristo mentre viene battezzato da Giovanni Battista. Risulta chiaro il parallelismo: il rito ebraico della circoncisione anticipa e prefigura quello cristiano del Battesimo
Tornando sulla parete di sinistra osserviamo le prove di Mosè, opera del Botticelli. In questo dipinto Mosè viene rappresentato per ben 7 volte mentre affronta diverse prove. Sul lato opposto, sempre dello stesso autore, vediamo le prove di Cristo narrate secondo il racconto di Matteo.
In alto a sinistra, il diavolo, vestito da frate, invita Gesù a trasformare le pietre in pane. In alto al centro Satana conduce Gesù sul pinnacolo del Tempio (che ha le sembianze di Santo Spirito in Sassia) e gli dice di gettarsi. Infine, in alto a sinistra, il maligno mostra a Gesù tutti i regni della Terra, ma viene sconfitto e allontanato dal Signore.
Proseguiamo guardando quello che secondo la critica è il dipinto meno bello della Cappella: il passaggio del Mar Rosso. Mosè raduna il popolo ebraico che riceverà il decalogo, mentre i soldati egiziani affogano nel Mar Rosso. Spostando la nostra attenzione sul lato destro possiamo ammirare il dipinto del Ghirlandaio che raffigura la chiamata dei primi discepoli. Analogamente al dipinto che abbiamo visto sulla parete opposta la scena si svolge sul mare (lago di Galilea). Gesù sta radunando il popolo che riceverà le Beatitudini.
Spostandoci di nuovo a sinistra, vediamo Mosè che sale sulla montagna per ricevere da Dio il decalogo, accompagnato da Giosuè, vestito di giallo e blu (i consueti colori dei Della Rovere). Sceso dal monte Mosè scaglia a terra le tavole della legge perché ha visto il suo popolo che adora il vitello d’oro. Sulla sinistra Mosè mostra al popolo ebraico il decalogo che Dio ha riscritto dopo l’episodio del vitello d’oro. Sulla parete opposta anche Gesù è salito su un monte per proclamare ai suoi discepoli le Beatitudini.
Sulla sinistra Botticelli ha dipinto la punizione di Core, Datan ed Abiram. I tre ebrei che si erano ribellati all’autorità di Mosè e di suo fratello Aronne sprofondano nella terra. Sullo sfondo si nota un arco di trionfo sul quale è scritto in latino: “Nessuno si assuma l’onore, se non chi è chiamato da Dio”. Come Mosè ed Aronne sono stati chiamati da Dio nell’Antico Testamento, così gli Apostoli sono stati chiamati da Gesù nel Nuovo Testamento.
È questo il tema dell’opera del Perugino, sicuramente quella di maggior pregio e con maggiore densità teologica. Gesù chiede agli apostoli cosa le persone, rappresentate col cappello, pensino di Lui, poi rivolgendosi di nuovo agli apostoli, dipinti senza cappello, chiede cosa loro pensino di Lui. Solo Pietro risponde “Tu sei il Figlio di Dio” e Gesù gli consegna le chiavi del Paradiso.
Sullo sfondo notiamo il Tempio di Gerusalemme. Da una attenta lettura del brano di Matteo si evince che questo episodio è accaduto durante la festa dello Yom Kippur, durante la quale il Sommo Sacerdote entrava nel Santo dei Santi e pronunciava il nome di Dio (JHWH).
È evidente il parallelismo: mentre il Sommo Sacerdote degli ebrei pronuncia il nome di Dio, Pietro, novello Sommo Sacerdote dei cristiani, dice “Tu sei il Figlio di Dio”. Possiamo quindi dire che questo dipinto del Perugino rappresenta in termini artistici la più straordinaria apologia del Papato.
Tornando per l’ultima volta sulla parete sinistra vediamo un angelo che mostra a Mosè la terra promessa dove però non entrerà. Il vecchio legislatore scende dalla montagna, legge la Torah agli ebrei e ai suoi piedi è posta l’Arca dell’Alleanza nella quale si possono scorgere le tavole della legge, la verga di Aronne e la manna, il pane sceso dal cielo che ha alimentato gli ebrei durante l loro pellegrinaggio nel deserto. Il pane è anche al centro del dipinto opposto dove Gesù sta celebrando l’Ultima Cena insieme agli apostoli.
Il ciclo delle storie di Mosè termina nella controfacciata dove vediamo la sua tomba. Accanto a questa scena, si conclude anche il ciclo delle storie di Gesù, ma in modo ben diverso, con la sua resurrezione.
Quella che stiamo per raccontare è una leggenda e non appartiene al campo della storia. Tuttavia non pochi artisti si sono ispirati ad essa e l’hanno rappresentata. Stiamo parlando del racconto che ha per protagonisti Costantino e Papa Silvestro. Questa storia è stata raffigurata nel ciclo pittorico che decora l’oratorio di San Silvestro nella chiesa romana dedicata ai Santi Quattro Coronati.
Narra la leggenda che l’imperatore Costantino essendo stato colpito dalla peste (possiamo notare nel dipinto le macchie rosse che sfigurano il suo viso e il suo corpo) viene consigliato da alcuni sacerdoti pagani che lo invitano ad uccidere dei bambini e a fare un bagno nel loro sangue al fine di guarire. Impietosito dalle lacrime delle madri, Costantino non dà luogo ai suoi propositi
Quella stessa notte Costantino vede in sogno i Santi Pietro e Paolo che gli consigliano di chiedere l’aiuto di Papa Silvestro che gli mostrerà una fonte, immergendosi nella quale egli guarirà. L’imperatore fiaccato per la sua malattia è steso sul letto, mentre i due santi gli stanno parlando
Costantino manda allora i suoi messi, ne vediamo tre mentre stanno cavalcando, a chiamare Papa Silvestro che si è ritirato presso il monte Soratte.
Così Papa Silvestro si reca da Costantino e gli mostra un’immagine nella quale l’imperatore riconosce i volti dei Santi Pietro e Paolo che gli avevano parlato in sogno
Papa Silvestro battezza allora Costantino ed egli guarisce dalla lebbra. L’imperatore riceve il battesimo per immersione come era consuetudine nell’antica comunità cristiana
Costantino, come segno di gratitudine per la sua guarigione, dona al Papa la città di Roma, il sinichio (l’ombrellino segno della dignità dell’imperatore) la tiara, simbolo di potere ed un cavallo. Possiamo vedere il Papa che è regalmente seduto su un trono, mentre Costantino è dipinto servilmente piegato e al servizio del Papa.
Il Papa seduto a cavallo, come anche gli altri vescovi, viene scortato dall’imperatore ed entra trionfalmente nella città di Roma.
Questa leggenda, conosciuta come “Donazione di Costantino”, costituirà per secoli la giustificazione del potere temporale dei Papi. La sua infondatezza verrà dimostrata solo nel rinascimento dall’umanista e canonico lateranense Lorenzo Valla (la cui tomba si trova proprio a San Giovanni in Laterano)
Il ciclo pittorico si conclude con due episodi che hanno come protagonista l’Imperatrice Elena, Madre di Costantino.
Il dipinto è mal conservato e rappresenta l’imperatrice mentre osserva una disputa fra Papa Silvestro e un Rabbino. Questi pronuncia il nome di Dio e fa morire un toro, mentre il Pontefice pronuncia il nome di Cristo e lo fa resuscitare. Il soggetto dipinto ci fa ricordare i rapporti non sempre idilliaci fra la comunità ebraica e quella cristiana nella città di Roma
Infine l’imperatrice Elena assiste al ritrovamento della vera croce.
Abbiamo il piacere di intervistare Rodolfo Papa, docente di Estetica all’Università Urbaniana. Vogliamo chiedergli qualche riflessione sul rapporto fra la religione cattolica e l’arte. Ci può dire qualche guida linea che lei ritiene essenziale in questo rapporto?
Facciamo anche pubblicità al testo “Discorsi sull’arte sacra”, appena pubblicato da Cantagalli, nel quale affronto otto discorsi che servono per guardare in maniera compiuta e completa al rapporto che c’è tra l’arte , la bellezza e la fede cattolica. Questo rapporto è estremamente importante, perché è uno degli elementi costitutivi del pensiero cristiano che permette di vedere il mondo di saperlo rappresentare. In più poi c’è un dovere interno del cristiano che è quello di rappresentare Cristo. Ciò è avvenuto fin dall’inizio e noi dobbiamo cercare sempre di rintracciare le radici di tutta la questione artistica perché in essa troveremo sempre ciò che è riconducibile o a dei temi che sono stati affrontati, guardati e studiati in maniera positiva dal pensiero cristiano. Questa ricerca per esempio ci può aiutare a comprendere il pensiero di sant’Agostino che nel “De vera religione” ci offre una rappresentazione della bellezza come sistema proporzionale oppure quello di San Tommaso d’Aquino che parla della claritas, dello splendore luminoso. Il tema della bellezza poi affascina il grande pubblico. Sono stato intervistato qualche giorno fa, o meglio ho realizzato una trasmissione di arte per una televisione giapponese, e mi è stato chiesto di parlare di Caraggio. Ma per parlare di Caravaggio a un pubblico giapponese dovevo parlare necessariamente del cristianesimo. E ho parlato per un’ora e mezzo di fede cristiana. Quindi in Giappone, per vedere la trasmissione su Caravaggio, ascolteranno un’ora e mezza di catechismo!
Qual è lo stato attuale dell’arte cristiana? Secondo lei nella produzione artistica di soggetti sacri c’è una inarrestabile decadenza negli ultimi anni o c’è qualche segnale di ripresa?
Non si tratta di decadenza, ma di un momento di riflessione che ha portato all’interno del pensiero cristiano una serie di elementi che in maniera confusa hanno portato determinate cose: alcune cose buone altre meno. Pian piano, grazie agli interventi di Giovanni Paolo II e ultimamente di Benedetto XVI, ci sono stati dati degli imput interessantissimi per rivedere tutto il magistero, rileggerlo da capo e comprenderlo meglio. Ci sono oggi degli elementi abbastanza chiari per poter definitivamente comprendere qual è la linea da adottare nel campo artistico. L’ermeneutica della continuità all’interno del rinnovamento, come direbbe Benedetto, ci permette allo stesso tempo di legarci alla tradizione e di guardare avanti.
La via della bellezza è la nuova via dell’evangelizzazione come ha detto anche Benedetto XVI. Vuole spendere qualche parola su questo?
Dal mio punto di vista è una delle vie maestre. È chiaro che ci sono tante altre strade, ma questa è forse la via più importante. Del resto Giovanni Paolo II ha detto che la bellezza salverà il mondo intendendo dire che Cristo nella sua bellezza, nella sua raffigurazione nella sua rappresentazione non può che portare il bene. Dall’altra Parte Benedetto XVI ha ricordato che la via dell’arte è la strada giusta per annunciare il kerigma , il primo annuncio, ma anche per costruire la catechesi, per fare in modo che i giovani possano essere ben educati alla fede, come si faceva una volta raccontando e spiegando le sacre scritture che sono rappresentate artisticamente nelle chiese come faceva San Giovanni Damasceno. Questo ha una presa sulle persone perché, attraverso le immagini e la loro bellezza, i concetti si fissano più facilmente anche perché il cristianesimo è estremamente complesso e articolato e quindi le immagini danno anche la possibilità di comprendere meglio concetti estremamente complessi.
Lei ha avuto la fortuna di partecipare al Sinodo dei Vescovi. Ci può dire quale è stato il suo compito?
Il mio compito di esperto, che arriva con il suo bagaglio di storico dell’arte e teorico dell’arte sacra, ha riguardato questi argomenti. Ho potuto notare un grandissimo interesse sulla questione artistica e in generale sul rilancio dell’arte come strumento di evangelizzazione. La piccola nota mia personale riguarda la grandissima emozione di poter far parte di questo grandissimo evento che la chiesa vive ormai da decenni e come un momento di riflessione collettiva per offrire al Santo Padre degli spunti sui quali poi lui costruirà la sua molto più profonda riflessione nell’esortazione apostolica.
Quando Sisto IV fece costruire e decorare la Cappella Sistina, sulla volta era stato dipinto, usando i colori della famiglia Della Rovere, un cielo blu con delle stelle gialle. In seguito fu il Papa Giulio II, sempre della famiglia Della Rovere, a volere qualcosa di più maestoso e solenne per quella cappella dove si dovevano svolgere le varie liturgie pontificie.
Sulle pareti della cappella era già stato realizzato, ad opera di una squadra di pittori toscani guidati dal Perugino, un ciclo pittorico che narrava la vita di Mosè (la storia della salvezza sotto la Legge) e quella di Cristo (la storia della salvezza sotto la Grazia). Giulio II decise di fare affrescare sulla volta la storia della salvezza prima della Legge e affidò l’esecuzione di questa impresa al genio di Michelangelo.
Il pittore iniziò i lavori nel 1508 e li portò a termine nel 1512, esattamente 500 anni fa. Michelangelo ha raccontato con 9 immagini le più importanti storie della Genesi organizzandole in gruppi di tre: nel primo gruppo il pittore ha rappresentato la Creazione dell’Universo, nel secondo gruppo sono raccontate le vicende della prima coppia umana, mentre dell’ultimo gruppo fanno parte le scene che riguardano la vita di Noè. Analizziamo ora brevemente ogni singola immagine.
Nella prima vediamo il Creatore, vestito di rosa, mentre, con una virtuosa torsione, separa la luce dalle tenebre. In questo primo dipinto Michelangelo ha voluto esaltare il monoteismo ed il numero uno: a differenza delle immagini successive, Dio è rappresentato in assoluta solitudine, sta operando la creazione nel primo giorno e pare che Michelangelo abbia realizzato questo dipinto in un solo giorno.
Nel secondo dipinto Dio è rappresentato due volte: a destra, con gesto imperioso, sta creando il sole e la luna, mentre a sinistra, dandoci le spalle, Dio sta creando la natura. Non si può fare a meno di notare questa posizione particolare di Dio che mostra le spalle al visitatore e che trova spiegazione nelle parole della Scrittura. Nella bibbia infatti, quando Dio vuole mostrare la sua Gloria, mostra le sue spalle. Dunque Michelangelo, attraverso questa originale rappresentazione, ci ha voluto mostrare come la natura sia espressione della Gloria di Dio
Nella terza immagine, che conclude il primo gruppo, Dio, sempre con gesto severo e autoritario, separa le acque superiori da quelle inferiori
Veniamo ora a quella che sicuramente è l’immagine più nota della Cappella Sistina: la creazione dell’Uomo. Dio è rappresentato avvolto in un maestoso mantello rosa che ha la forma di una sezione di cervello. Da grande studioso del corpo umano, Michelangelo ha voluto rappresentare, con questo espediente del mantello, l’intelligenza di Dio.
Il Creatore tiene sotto il braccio la Donna cha ha già in mente di creare per l’Uomo. Quando Dio ha ordinato alle cose di venire al mondo, le sue mani erano rigide e tese, ora che sta creando un essere a sua immagine e somiglianza, la sua mano ha un profilo dolce e morbido. La mano dell’Uomo è tesa, quasi in ricerca, verso il Mistero.
La scena della creazione della Donna è al centro dell’intera composizione e questo perché l’Uomo è la prefigurazione del Cristo, mentre la Donna è la prefigurazione della Chiesa. Dalla costola dell’Uomo adagiato su un fianco, esce la Donna tutta orientata verso Il suo Creatore.
Queste prime cinque immagini che abbiamo analizzato si trovano nella parte della Cappella Sistina che corrisponde al Santo dei Santi, lo spazio sacro del Tempio di Gesusalemme dove si riteneva che Dio avesse la sua dimora. L’immagine di Dio scompare nelle scene successive che sono dipinte nella parte della Cappella che corrisponde al Santo. E la figura di Dio si eclissa, non a caso, con la scena del peccato originale.
In questo dipinto, Michelangelo si è preso parecchie libertà rispetto al testo biblico. Nella Sacra Scrittura infatti, Eva prende il frutto dell’albero proibito e lo passa ad Adamo, qui invece la donna afferra il frutto direttamente dalle mani del serpente e l’uomo lo coglie dall’albero.
Michelangelo ha voluto probabilmente attribuire all’Uomo e alla Donna lo stesso concorso di colpa. Tradizionalmente si dice che questo albero sia un melo, qui Michelangelo ha invece rappresentato un fico. Sulla destra un angelo, vestito di rosso, scaccia Adamo ed Eva dal paradiso: i progenitori, visibilmente abbruttiti dal peccato, sono nudi, secondo la narrazione biblica invece essi ricevettero da Dio delle tuniche di peli di cammello.
Passiamo ora al terzo ed ultimo gruppo. Nella prima immagine Noè, sua moglie, i suoi figli e le sue nuore stanno offrendo un olocausto per ringraziare Dio per la fine del Diluvio Universale. Noè rivolge lo sguardo verso il cielo dove dovrebbe apparire l’arcobaleno.
Nella seconda immagine vediamo orde di persone che tentano di salvarsi dal diluvio. L’arca è rappresentata in modo molto conforme al testo biblico: non ha finestre, ad eccezione di quella dalla quale si affaccia Noè.
Nell’ultima scena, sulla sinistra, vediamo Noè, vestito di rosso, mentre sta piantando la vite dalla quale ricaverà il vino col quale involontariamente si ubriacherà. Domina il dipinto la scena di Sem e Iafet che coprono loro padre mentre Cam lo deride.
Tutta l’immagine è una prefigurazione della passione: come infatti Noè ha bevuto il vino e, ubriacato, si è addormentato, così Gesù, dopo aver bevuto il calice dell’Ultima Cena si è addormentato nel sonno della morte. Se infatti dalla volta portiamo il nostro sguardo sulla parete destra possiamo vedere rappresentata la scena dell’Ultima Cena.
A partire da martedì 16 ottobre, ogni martedì pubblicheremo le catechesi della bellezza dedicate ad opere d’arte ispirate dalla fede, partiamo con la Cappella Sistina.
La Cappella Sistina, così chiamata perché voluta dal Papa Sisto IV, è stata progettata e costruita dell’architetto Baccio Pontelli per ospitare le cerimonie del Pontefice e per consentire ai cardinali di eleggere il Papa.
Per tali motivi, questo ambiente è particolarmente ricco di dipinti e di simbolismi il cui significato profondamente teologico è spesso sconosciuto al visitatore moderno. Cercheremo di spiegare in questo articolo l’idea di fondo che sta dietro a questo gioiello dell’arte.
Sisto IV ha voluto ricreare, vicino alla tomba dell’apostolo Pietro, un luogo sacro che avesse le stesse dimensioni del Tempio di Gerusalemme descritto nella Bibbia, a sua volta ispirato al Tabernacolo, la tenda che accompagnava gli ebrei durante il loro quarantennale pellegrinaggio nel deserto.
La Cappella Sistina infatti al suo interno è divisa da una cancellata in due parti che corrispondono alle due stanze del Tempio di Gerusalemme: il Santo e il Santo dei Santi, l’area più sacra nella quale poteva entrare solo il Sommo Sacerdote.
Inizialmente la cancellata era posta laddove nel Tempio di Gerusalemme avremmo trovato il Velo. Sopra di essa si trovano sette candelabri (oggi sono otto) a ricordo della menorah (il candelabro ebraico a sette bracci) che illuminava il Santo. Mentre nel Santo dei Santi si trovava l’Arca dell’Alleanza, simbolo della vicinanza di Dio al suo popolo, nella Cappella Sistina osserviamo l’altare, il luogo dove il Figlio di Dio si rende presente nell’Eucaristia.
Se ci troviamo nella parte della Cappella corrispondente al Santo dei Santi e fissiamo lo sguardo sulla volta, osserviamo che Michelangelo ha rappresentato Dio a sottolineare la sua presenza proprio in questa parte del Tempio. Il Creatore scompare invece nella parte corrispondente al Santo a partire dalla illustre scena del peccato originale.
Infine, se osserviamo nella parte bassa della Cappella Sistina, notiamo delle finte tende che ci ricordano il tempo in cui l’Arca dell’Alleanza era ospitata nel Tabernacolo. I dipinti che abbelliscono la Cappella Sistina rappresentano tutta la storia dell’uomo, dalla Creazione al Giudizio Universale e il visitatore che vi si trova dentro si sente come un pezzo di questo immenso progetto di salvezza.
La storia della salvezza è così scandita: 1) sulla volta troviamo nove scene che riguardano le origini della storia dell’uomo; 2) sulla parete sinistra osserviamo le scene della vita di Mosè che terminano nella controfacciata con la morte dell’illustre personaggio veterotestamentario; 3) sulla parete destra possiamo vedere delle scene della vita di Cristo che culminano nella controfacciata con la Resurrezione; 4) il visitatore che si trova al centro della Cappella si sente come un pezzo di questa grande storia; 5) sulla parete di fondo fa sfoggio di sé il Giudizio Universale.
Inizialmente, sotto il pontificato di Sisto IV, su questa parete erano state dipinte la nascita di Mosè e quella di Cristo. Sulla volta invece era dipinto, impiegando i colori della famiglia Della Rovere, un cielo blu con delle stelle
L’11 ottobre, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, la Chiesa darà inizio all’Anno della Fede, un’occasione per riscoprire i fondamenti del nostro credo, in particolare il Catechismo della Chiesa Cattolica e i documenti del Concilio Vaticano II.
Il cattolico non vive la sua fede avulso da coordinate spazio-temporali, ovvero, non è fuori dal mondo e dalla storia, e non può essere oggi discepolo di Gesù a prescindere dagli insegnamenti che la Chiesa del suo tempo gli offre.
Le infinite diatribe che si sono scatenate attorno al Concilio Vaticano II e soprattutto attorno alla sua interpretazione hanno dato più volte occasione all’attuale Pontefice di ribadire che solo l’ermeneutica della continuità legge in maniera completa e compiuta questo evento.
Infatti, a quanti hanno visto il concilio come grave frattura con la Tradizione (ala conservatrice) e a quanti hanno interpretato il concilio come felice rifondazione di una religione ormai stanca e obsoleta (ala progressista), il Papa ha indicato quale sia invece la via maestra: ammirare il concilio nella sua continuità con il precedente insegnamento della Chiesa.
Lo sguardo di Benedetto XVI sul Vaticano II è lo stesso di Giovanni XXIII, il papa che ha fortemente voluto questo evento. Il “papa buono” infatti voleva aggiornare la Chiesa, cioè trasmettere il messaggio di sempre con parole più comprensibili all’uomo.
È per conoscere meglio questo evento storico religioso, il più importante del XX secolo, che proponiamo ai nostri lettori la lettura del libro “Il Concilio Vaticano II” di Philippe Chenaux, docente di storia della Chiesa alla Pontificia Università Lateranense e membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.
I primi capitoli (1-3) sono dedicati alla situazione della Chiesa negli anni che precedettero l’apertura dell’assise ecumenica. L’autore si sofferma in particolare sull’eredità lasciata da Papa Pio XII e sulla vivace realtà dei movimenti (liturgico, biblico, patristico, mariano ed ecumenico) che chiedevano delle riforme nei vari campi della della vita della Chiesa.
Nei capitoli successivi (4-6) l’autore ricostruisce le tappe significative che portarono alla preparazione e allo svolgimento del concilio.
Lo storico della Chiesa si sofferma poi (7-10) su alcune questioni specifiche affrontate durante il dibattito conciliare prendendo in considerazione la riflessione sulla vita interna, (il rapporto fra Tradizione e Sacra Scrittura, il tema della collegialità), ed esterna della Chiesa (il rapporto con i non cattolici e con i non cristiani).
Gli ultimi capitoli (11-12) infine trattano del post-concilio e delle sue interpretazioni dando particolare rilievo ai momenti di crisi.