Nicola Rosetti
GROTTAMMARE – Abbiamo avuto il piacere di incontrare il Prof. Michael Koob, giovane docente di Religione Cattolica presso il Friederich Spee Gymnasium di Treviri. Il professore accompagna un gruppo di una ventina di studenti che sono ospitati da alcune famiglie di giovani che frequentano l’Istituto Tecnico Statale Mazzocchi di Ascoli. Il gemellaggio fra l’istituto ascolano e quello tedesco è ormai una tradizione che dura da parecchi anni. Le due città sono legate dalla figura di Sant’Emidio: il patrono di Ascoli infatti è nato a Treviri. Il prof Koob insieme alla sua collega Andrea Klinkner, che ringraziamo per averci fatto da traduttrice, sono ospiti dei coniugi Sabino Papagna e Rossana Sarchielli di Ascoli e dei coniugi Roberto Mataloni e Antonella Lanari di Grottammare.
Prof. Koob, ci può spiegare a grandi linee come è organizzata la scuola tedesca?
Il settore dell’istruzione, come altri settori, è di competenza dei vari Land (stati federali) tedeschi. Nel Land della Renania-Palatinato dove si trova Treviri ci sono 2 gradi di istruzione: si inizia con la Grund Schule che dura 4 anni per poi poter scegliere il Gymnasium oppure la Real Schule che durano 9 anni. Diversamente dal sistema italiano, al termine del quarto anno della Grund Schule si continua con il computo degli anni per cui si passa dalla quarta classe alla quinta e via via fino ad arrivare alla tredicesima classe.
Lei insegna Latino e Religione Cattolica. Ci può spiegare qual è l’iter di formazione che ha seguito?
Terminato il Gymnasium mi sono iscritto alla Facoltà di Teologia di Treviri e contemporaneamente ho seguito anche il corso per insegnare Latino, perché nel nostro Land i docenti debbono insegnare necessariamente 2 materie. Terminata l’università ho frequentato per due anni un tirocinio e subito dopo sono stato assunto come docente di ruolo. Analogamente a quanto accade in Italia, per insegnare Religione Cattolica, c’è bisogno di un certificato di idoneità rilasciato dalla Chiesa.
In Italia coloro che aspirano all’Insegnamento della Religione Cattolica devono necessariamente frequentare un’università ecclesiastica. Come funzionano le cose in Germania?
Personalmente ho frequentato, come ho appena detto, la Facoltà di Teologia di Treviri che è ubicata all’interno dell’università statale, ma dipende dalla Chiesa. Ci sono anche università statali che hanno una facoltà di teologia cattolica.
In Italia l’insegnamento della Religione Cattolica è presente in tutte le scuole di ogni ordine e grado ad esclusione dell’Università. I bambini della scuola dell’infanzia frequentano l’ora di religione per un’ora e mezza, quelli della scuola primaria per due ore, mentre quelli della scuola secondaria per un’ora. In Germania invece?
L’insegnamento religioso è impartito sia alla Grund Schule che al Gymnasium o alla Real Schule. In ogni ordine di scuola viene impartito per due ore. Il nostro impegno di docenti ci tiene impegnati a scuola per 24 ore settimanali, ogni ora di lezione dura 45 minuti.
L’Italia è un paese di tradizione cattolica. Agli alunni che intendono non avvalersi dell’Insegnamento della Religione Cattolica è garantita un’Attività Alternativa. Cosa prevede il vostro ordinamento scolastico?
La Germania ha una storia diversa, come è noto è la patria della riforma protestante. Per questo gli alunni possono avvalersi dell’insegnamento della Religione Cattolica, di quella Protestante o di un corso di Etica.
Fra queste discipline quale è più seguita?
Dipende dai Land. Nel nostro Land la maggior parte degli studenti segue la Religione Cattolica, spesso però capita che scelgano in seguito di seguire Etica. Questo calo di interesse nei confronti del discorso religioso può essere compreso nel più ampio quadro del disinteresse dell’uomo contemporaneo verso ogni tipo di istituzione, sia essa di carattere politico, sportivo o culturale. Si registra uno spostamento dai temi etico-religiosi come la giustizia, la pace ad uno stile di vita individualistico e poco impegnato
Quale programma si svolge durante l’ora di religione?
Ci sono temi “classici” quali la questione di Dio, la figura di Gesù Cristo, l’etica, lo studio di alcuni passi scelti della bibbia. Questi temi vengono studiati nei primi anni e vengono approfonditi in seguito. Generalmente non vengono trattati i temi artistici o musicali legati alla religione. Importante è anche la Scienza delle Religioni, cioè lo studio di ogni singola religione nei primi anni. Negli anni successivi viene preso un tema, come può essere per esempio l’immagine di Dio, e si confronta come ogni religione lo sviluppa.
Parliamo della valutazione. In Italia gli alunni sono valutati con una scala numerica da uno a 10 mentre l’Insegnamento della Religione Cattolica viene valutata con dei giudizio (ottimo, distinto ecc.). Inoltre l’Insegnamento della Religione Cattolica, pur essendo considerata una materia al pari delle altre, non fa media. Qual è la situazione in Germania?
L’insegnamento religioso è in tutto e per tutto uguale alle altre materie e viene valutato con una scala numerica da uno a sei dove uno è il valore massimo e sei quello minimo. Al contrario di quanto avviene in Italia è possibile che questa materia compaia, in particolari casi, come materia inserita nell’esame di maturità.
Passiamo infine al tema economico! Quanto guadagna un insegnante tedesco?
Ci sono vari “gruppi di guadagno”. Si inizia col gruppo “A 13″ e poi, se si eseguono determinati lavori si può passare in “gruppi di guadagno” superiori. Lo stipendio di un insegnante che appartiene al gruppo “A 13″ si aggira attorno ai 3000 euro netti, inoltre ogni tre anni si ottiene un aumento di circa 70-80 euro.
“Ratzinger al Vaticano II” è un agile volume delle edizioni San Paolo nelle quali il giornalista Gianni Valente ripercorre gli interventi del futuro pontefice in quello che è universalmente considerato l’evento storico religioso più importante del XX secolo. Il libro fa seguito a un altro scritto sempre dallo stesso autore nel 2008 dedicato all’attività accademica del brillante teologo: “Ratzinger professore”.
Ratzinger è un giovanissimo docente dell’Università di Bonn quando prende parte alla prima sessione del Concilio in qualità di perito privato del cardinale arcivescovo di Colonia Frings. Già a partire dal termine della prima sessione viene nominato perito conciliare e in tale veste contribuirà alla redazione dei più importanti documenti conciliari.
L’autore narra in modo scorrevole il succedersi dei fatti, non disprezzando, di tanto in tanto, di inserire i ricordi personali tratti dai diari privati di alcuni protagonisti del Concilio. Desta per esempio un sorriso la descrizione che il Cardinale Siri fa di un testo redatto da Ratzinger considerato “al massimo buono per scrivere una lettera pastorale, stile lettera a Diogneto, e non degno di essere equiparato a un testo conciliare”. Sappiamo come andò a finire: l’arcivescovo di Genova partecipò in tutto a 4 conclavi uscendone sempre cardinale, mentre Ratzinger…
Un’altra curiosità riguarda una presa di posizione di Ratzinger, successiva all’evento conciliare. Nel 1969 sottoscrive un appello di alcuni professori di Tubinga che propongono di stabilire una durata massima di otto anni per l’esercizio del ministero episcopale. Visti gli sviluppi di questi ultimi mesi, sembra che Joseph Ratzinger, divenuto Papa, abbia quasi tenuto fede a quanto asserito alla fine degli anni ’60
L’opera del professore di dogmatica si inserisce nello scontro fra quelle che sono state chiamate “la minoranza conservatrice” e la “maggioranza progressista”. Più che usare questo linguaggio mutuato dalla politica, si dovrebbe parlare di due sensibilità ecclesiologiche diverse, la prima più preoccupata a conservare il depositum fidei, l’altra più desiderosa di tradurlo in formule maggiormente accessibili per l’uomo contemporaneo. Fra queste due correnti Ratzinger si può ascrivere alla seconda, seppur con alcuni distinguo. E questa può essere per il lettore una prima sorpresa: quello che spesso è stato percepito dalla massa come un conservatore, in realtà durante i lavori del Concilio lavorò per rinnovare in modo decisivo il volto della Chiesa.
Dalla lettura del libro emerge come in realtà nella vita di Joseph Ratzinger non ci sia una vera e propria svolta in senso conservatore dopo gli anni del Concilio, ma anche durante l’evento conciliare egli non condivise la visione eccessivamente ottimista dei suoi colleghi teologi e di quanti erano di tendenza progressista e sognavano l’inizio di una Nuova Chiesa. No, Ratzinger rimase fedele al senso letterale dell’aggiornamento voluto da Giovanni XXIII che voleva trasmettere il contenuto di sempre in uno stile adatto ai tempi. Nell’euforia generale degli anni ’60, il professore tedesco rimase con i piedi per terra.
Uno dei temi più importanti trattati durante l’assise conciliare fu quello della collegialità, inserito nel più ampio schema De Ecclesia. L’autore mette bene in mostra come il Concilio Vaticano I avesse esaltato il primato del vescovo di Roma, in linea con il magistero pontificio degli ultimi secoli, ma non aveva trattato dell’episcopato, anche a causa dell’irruzione dei piemontesi nella Città Eterna che aveva di fatto provocato l’interruzione del Concilio. La minoranza vedeva nella dottrina della collegialità un potenziale pericolo per il primato petrino. Tale preoccupazione era sostenuta anche dalla presunta mancanza di un fondamento scritturistico. In una nota scritta ad hoc, Ratzinger faceva notare fra l’altro come neppure le parole “primato” e “infallibilità” siano contenute nella Scrittura!
Connesso al tema della collegialità è quello della sacramentalità dell’ordine sacro. Anche su questo versante, fra membri della minoranza e quelli della maggioranza non c’era una visione unanime. Mentre i primi sostenevano che si entra a far parte del collegio episcopale per mezzo dell’assegnazione del Papa ad una diocesi, gli altri invece ritenevano sufficiente la sola consacrazione episcopale. Come si inserisce in questo dibattito il futuro Pontefice? Secondo Ratzinger le due cose non si escludono a vicenda, anzi, possono e debbono coniugarsi in maniera tale che con la consacrazione si entra a far parte del corpo episcopale e l’assegnazione alla diocesi rende manifesta la comunione dei vescovi con quello di Roma.
In questi come in altri interventi citati nel libro, si vedono le doti di straordinario equilibrio tenute dal perito conciliare Ratzinger. L’autore mette in evidenza come la caratteristica che contraddistingue il giovane professore tedesco sia quello di non farsi trasportare dall’euforia del momento e di agire sempre e soltanto per l’esclusivo bene della Chiesa. Il quadro che Valente ci mostra è quello di un uomo intenzionato a far risplendere sul volto della Chiesa quella luce che solo il suo Signore può donarle. Egli si allinea alla maggioranza solo quando vede che questa oppone il respiro intero della tradizione e della fede contro una teologia la cui memoria sembra tornare indietro solo fino al Concilio Vaticano I o a quello di Trento.
Nell’ultima parte del libro dedicata agli anni del post-concilio, particolarmente interessante a nostro avviso è una citazione di un discorso che Ratzinger svolge a Foggia nel 1985 quando ormai è divenuto cardinale. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede si espresse in questo modo: “Alla chiesa appartiene essenzialmente l’elemento del ricevere, così come la fede deriva dall’ascolto e non è il prodotto di proprie riflessioni o decisioni. La fede infatti è incontro con ciò che io non posso escogitare o produrre con i miei sforzi, che mi deve appunto venire incontro. Questa struttura del ricevere, dell’incontrare la cgiamiamo sacramento. E appunto per questo rientra nella struttura fondamentale del sacramento il fatto che esso venga ricevuto e che nessuno se lo possa conferire da solo… La Chiesa non si può fare, ma solo ricevere”. In un tempo come quello di oggi in cui molti, sia dentro che fuori dalla Chiesa, propongono soluzioni per la Chiesa, Ratzinger ci ha ricordato che ad essa non ci si può avvicinare con lo spirito di manager aziendali, ma che essa è una realtà preesistente a noi e che continuerà ad esistere dopo di noi e che il miglior atteggiamento è l’adesione e il desiderio di scoprirne e vivere il mistero. Un libro dunque molto utile quindi, del quale si può vivamente consigliare la lettura in questo anno della fede.
Paolo Gambi è un giovane scrittore e giornalista cattolico. Nato a Ravenna il 12 aprile 1979, è laureato in giurisprudenza ed in psicologia con una specializzazione in diritto canonico ed una in comunicazione. Ha al suo attivo oltre quindici libri (tra cui tre scritti con il Cardinal Tonini) e può vantare di aver collaborato con importanti testate, anche estere, come il Financial Times e The Catholic Herald di Londra. Insegna anche teoria della comunicazione all’ISSR S. Apollinare. Dopo mesi di lavoro ha finalmente lanciato il sito www.churchadvisor.it . Gli abbiamo fatto qualche domanda per conoscere meglio questa nuova realtà.
Ogni anno che passa cresce il numero dei siti di ispirazione cristiana. Qual è la peculiarità e cosa offrirà di speciale churchadvisor?
Partecipazione. Churchadvisor non è un sito calato dall’alto, ma un contenitore in cui raccogliere le voci della Chiesa. E per Chiesa si intende anche il popolo di Dio. Quello a cui Papa Francesco ha chiesto la preghiera prima della benedizione, prendendosi la sua fetta di protagonismo. Con questo sito proviamo a portare un po’ di comunicazione dal basso – bottom up – nelle dinamiche ecclesiali.Senza però scadere in improbabili democratizzazioni. Cerchiamo semplicemente di seguire l’invito sempre vivo di “inculturare” il messaggio cristiano nel presente. Vogliamo insomma dare il nostro contributo perché la Chiesa “si traduca” nell’era di internet. Come? Utilizzando tutti gli strumenti più avanzati che sono a disposizione dell’uomo contemporaneo. Churchadvisor offre per il momento tre servizi. Il primo servizio è semplicemente informazione, notizie date con un linguaggio un po’ nuovo, che gli utenti possono commentare a mo’ di blog. Poi pubblichiamo ebook, libri digitali, con una logica di totale apertura lontana dalle dinamiche delle case editrici tradizionali. Insomma, proponeteci pure i vostri libri. Ma soprattutto, e il servizio sarà operativo al 100% molto presto, abbiamo mappato tutte le chiese del mondo, e chiunque abbia vissuto un’esperienza, buona o cattiva – nei limiti della buona fede e di un controllo di massima – può condividerla con il mondo, fornendo la propria valutazione. Sei stato ad un matrimonio di un lontano cugino e quella celebrazione ha fatto la differenza? Eri in vacanza e a Messa hai riscoperto l’incontro con il Signore? Hai partecipato ad una celebrazione talmente sconnessa che non sembrava neanche una Messa cattolica? Questo è il posto giusto per raccontarlo. Anche perché, con il crescere delle condivisioni, i fedeli potranno farsi una mappatura generale, sempre viva, della realtà ecclesiale, e così scegliere i posti adatti per la propria vita di fede. Insomma, questo sito ha l’ambizione di provare ad interpretare l’ecclesialità dell’era contemporanea.
Quante persone sono dietro a questo progetto?
È una comunità che sta crescendo piano piano: siamo agli inizi. Ma chiunque sia incuriosito o abbia voglia di provare a fare un salto di qualità nella vita di Chiesa su internet può contattarci e venire coinvolto.
Chi sono i destinatari di questa nuova piattaforma?
Tutti i cristiani che vivono la propria fede nella Chiesa cattolica. Anche quelli che non hanno più un gruppo di riferimento. La nostra speranza è che tanti cattolici che si sono allontanati dalle strutture più istituzionali della Chiesa possano ritrovare qui, in una realtà partecipata, anche un senso di appartenenza che hanno perduto.
Un sito dal nome inglese. Un caso o una scelta mirata?
Volenti o nolenti l’inglese è oramai diventato il latino dei tempi nostri. Una scelta di universalità. Icontenuti del sito per ora sono solo in italiano, ma stiamo lavorando alla versione inglese.
Churchadvisor terrà sotto osservazione l’attività del Papa o più in generale quella della Chiesa?
Più che tenere sotto osservazione vorrebbe dare vita, dare senso di appartenenza, dare partecipazione. Ovviamente il Papa è segno di unità per tutti i cattolici, quindi è al centro degli interessi della comunità. Infatti abbiamo inaugurato proprio all’inizio del conclave che ha portato all’elezione di questo Papa già così meravigliosamente amato….
Ecco, infatti: churchadvisor nasce in un momento particolare della vita della Chiesa: l’elezione del successore di Benedetto XVI. In uno dei tuoi articoli, volendo ironizzare sulla frenesia dei mezzi di comunicazione che fanno a gara per individuare il nome del futuro Papa, hai fatto l’identikit preciso dell’eletto: maschio, battezzato e verosimilmente non sposato! Qual è il profilo che i mass media, in particolare quelli cattolici, dovrebbero seguire nel proporre le notizie che riguardano l’universo religioso?
Intanto voglio sottolineare come il mio identikit alla fine ci abbia preso! Poi ci tengo a dire che abbiamo inaugurato regalando ai nostri visitatori un ebook dal titolo “Il conclave senza il morto” che ha semplicemente raccontato in forma digitale i candidati al ministero petrino. Compreso il Cardinale Bergoglio, che peraltro annotavo come possibile papabile. Quello che va detto è che noi cattolici dobbiamo ritrovare un linguaggio che talvolta fatichiamo a parlare. Dobbiamo ridare senso alle nostre strutture, ai nostri riti, alle nostre tradizioni in un’era in cui sono cambiate le menti delle persone e per farlo dobbiamo essere in grado di comunicarle, di trasformarle in linguaggiocondiviso. Dobbiamo insomma ritrovare una strada per portare il Vangelo in questo mondo fatto di byte e di reti. La sfida non è facile, perché la difficoltà di noi Chiesa di comunicare con il mondo riflette una difficoltà radicata oramai nei secoli di rappresentarci all’interno del mondo moderno. Comunque c’è solo da essere ottimisti. Ce l’abbiamo sempre fatta. Ce la faremo anche questa volta.Basta che ci mettiamo tutti d’impegno. E poi con Papa Francesco siamo in mani sicure.
ROMA – Anche se la data del Conclave non è stata ancora fissata, tutta Roma si prepara al grande evento. La Cappella Sistina è stata chiusa al pubblico per consentire di svolgervi tutti gli interventi necessari per rendere lo spazio maggiormente idoneo alle operazioni di voto, giornalisti da tutto il mondo continuano ad affluire nella Città Eterna per assistere e documentare il grande evento. Anche nel cuore di Roma ci si prepara a questo particolare momento della vita della Chiesa. Siamo entrati nella sartoria che ha preparato i tre abiti papali di diverse misure, uno dei quali sarà indossato dal futuro Pontefice e abbiamo incontrato Lorenzo Gammarelli, uno dei tirolari della “Ditta Annibale Gammarelli” che nonostante abbia rilasciato in questi giorni più di una cinquantina di interviste, ha avuto la cortesia e la bontà di rispondere alle nostre domande. La sartoria Gammarelli è ubicata in via di Santa Chiara, nello stesso palazzo che ospita la Pontifica Accademia Ecclesiastica, l’istituzione che forma i sacerdoti destinati al servizio diplomatico della Santa Sede. Questa sartoria è un vero pezzo di storia, infatti da 6 generazioni la famiglia Gammarelli veste innumerevoli ecclesiastici.
Innanzitutto grazie per la sua disponibilità e per il tempo che ha trovato per rispondere alle domande della nostra intervista in questi giorni così intensi di lavoro per la vostra attività. Può spiegare ai nostri lettori qual è il campo nel quale voi siete specializzati?
La nostra “Ditta Annibale Gammarelli” è una sartoria ecclesiastica. Abbiamo l’onore di fornire i tre abiti che nei giorni del conclave troveranno posto nella Stanza delle Lacrime, la sacrestia della Cappella Sistina. Uno di questi abiti sarà indossato dal prossimo pontefice appena sarà eletto
In Vaticano fervono i preparativi in occasione del Conclave. Anche qui vi siete dati un gran da fare. Da qualche giorno gli abiti papali sono esposti in vetrina alla vista di curiosi e dei giornalisti di tutto il mondo. Quando saranno consegnati?
Gli abiti che sono nella nostra vetrina saranno consegnanti fra stasera e domani in Vaticano.
Nel giorno della vestizione, quando il papa sarà nella Stanze delle Lacrime, si avvarrà della vostra collaborazione?
No. La nostra collaborazione termina nel momento in cui consegniamo in Vaticano gli abiti che abbiamo preparato, anche perché, ovviamente, non possiamo entrare nel conclave una volta iniziato.
In esposizione nella vetrina ci sono le scarpe rosse. C’è stata durante il pontificato di Benedetto XVI una grossa bufala su queste scarpe: è stato più volte detto che erano state prodotte dal marchio Prada. Ci può dire qualcosa da esperto del settore?
La “notizia” delle scarpe Prada è stata smentita dall’Osservatore Romano e dalla stessa ditta Prada. Nonostante questo, se ne sente ancora parlare di tanto in tanto. Le scarpe rosse del papa sono di pelle rossa e per il conclave le fornisce proprio la nostra ditta.
I prodotti del vostro laboratorio sartoriale sono destinati solo ad alti prelati?
No. I nostri clienti vanno dai seminaristi, ai sacerdoti, ai vescovi e ai Cardinali.
C’è qualche particolare articolo che i sacerdoti ricercano?
Mi dicono che siamo famosi per la qualità delle nostre talari.
Per quanto riguarda il settore della sartoria ecclesiastica, l’Italia è leader nel mondo o deve temere la concorrenza di qualche altro paese?
Oserei dire, senza tema di essere smentito, che Roma è leader nel mondo per quanto riguarda la sartoria ecclesiastica, considerando che in Europa ci sono circa una trentina di sartoria di cui 10 qui a roma e altrettante nel resto d’Italia.
Questo articolo è stato ripreso dall’agenzia di informazione ZENIT e tradotto in tedesco: http://www.zenit.org/de/articles/das-gewand-das-der-neue-pontifex-tragen-wird-ist-bereit
ROMA – Ricorre oggi l’ottantaquattresimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi che posero fine alla Questione Romana e siglarono una storica pace fra la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano. Per riflettere sull’importanza e sull’attualità di quell’evento, abbiamo intervistato uno dei massimi esperti italiani nelle questioni che riguardano i rapporti Stato-Chiesa: Giuseppe Dalla Torre. L’insigne giurista è nato a Roma il 27 agosto 1943. Alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 è stato segretario della delegazione italiana che, insieme a quella vaticana, ha lavorato per la revisione del Concordato. È stato Presidente Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani. Ha insegnato in varie Università Romane concentrando la sua attività di docente nell’ambito della storia e dei sistemi delle relazioni fra Stato e Chiesa. È attualmente Magnifico Rettore dell’Università LUMSA e Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.
Egregio Professore, ricorre oggi l’ottantaquattresimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi. Cosa è ancora oggi permanentemente valido e cosa invece potrebbe essere modificato o migliorato?
Resta valido, naturalmente, il principio che ispira i Patti e che poggia sulla distinzione fra l’ordine proprio della Chiesa e quello proprio dello Stato; così pure resta valido il principio di una sana collaborazione, non per compromissioni che confondano religione e politica, ma per rendere un servizio migliore alla persona umana. Come noto, i Patti Lateranensi sono costituiti da un Trattato e da un Concordato. Orbene, il Trattato ha dato una soluzione definitiva al problema della garanzia di libertà del Papa nell’esercizio della sua missione di governo della Chiesa universale; tale soluzione ha dato buona prova di sé. Il Concordato, poi, è stato già rivisto nel 1984 e non mi pare che ci siano al momento esigenze di modifiche o di aggiornamenti. Semmai si potrebbe osservare che talora nella prassi, soprattutto giurisprudenziale, non sempre la lettera delle sue disposizioni appare pienamente osservata, come invece dovuto per solenni impegni assunti dallo Stato in sede internazionale.
I Patti Lateranensi, dopo lungo dibattito parlamentare, sono entrati a farparte della nostra Costituzione. Nell’articolo 7 si afferma, fra l’altro, che Chiesa e Stato sono nel loro ordine indipendenti e sovrani. Firme importanti del giornalismo italiano e volti noti della cultura e dello spettacolo hanno erroneamente accostato questo articolo al motto di Cavour ”Libera Chiesa in Libero Stato”. Può fare qualche precisazione?
La famosa espressione del Cavour, che ha avuto una influenza incredibile nella cultura e nel pensiero politico del nostro Paese, sembra formalmente rappresentare un principio autenticamente liberale, ma a ben vedere esprime una concezione ancora giurisdizionalista dello Stato, per la quale cioè la Chiesa è nello Stato e sotto lo Stato, con la conseguenza che questo è legittimato ad introdursi nella vita interna della Chiesa con provvedimenti legislativi, amministrativi e persino giurisdizionali. Se volessimo tradurre il principio di cui al primo comma dell’art. 7 della nostra Costituzione parafrasando la formula del Cavour, dovremmo invece dire “Libera Chiesa e libero Stato”.
Quali sono i campi d’azione dove Chiesa e Stato riescono a collaborare meglio?
Credo nell’ambito dei servizi alla persona, nelle azioni di solidarietà, dove lo Stato può predisporre – a livello normativo ed amministrativo – le condizioni più favorevoli perché la galassia del volontariato cattolico – e non solo questo – possa svolgere nel modo migliore ed in maniera più efficace il suo servizio. Un servizio che solo il volontariato può realmente umanizzare e vivificare, grazie al carisma che lo anima e lo sollecita verso chi ha bisogno.
Qual è secondo lei il futuro della religione nell’Europa sempre più secolarizzata?
Non è facile fare previsioni, eppure non sono pessimista.p Innanzitutto perché penso che, come sempre è avvenuto in tutti i campi della storia umana, quando si giunge a toccare il fondo si produce poi una forza reattiva verso l’alto. Fuor di metafora, credo che l’Europa, e più in generale tutto l’Occidente, si accorgerà pian piano che la conquista di verità parziali – nella scienza, nella tecnologia, nell’economia, nei mass-media ecc. – non porta al bene dell’uomo, se non vi è un orientamento verso la Verità ultima. E poi non si deve dimenticare che il grande fenomeno immigratorio porta – e non solo con l’islam – ad una trasfusione di sentire e di pratiche religiose nel corpo secolarizzato delle nostre società.
Quale sarà il maggiore contributo che i politici di ispirazione cristiana potranno offrire nella prossima legislatura?
Credo che il contributo maggiore – che sarà per loro anche l’impegno più arduo, se vorranno davvero essere uomini impegnati in politica da cristiani – verrà dalla capacità di dialogo con le altre posizioni culturali ed ideologiche. Un dialogo che non è mero irenismo, ma che è capacità di confronto sereno e fermo, per dimostrare e far comprendere che le posizioni della Chiesa nei vari campi – si pensi fra tutti quello bioetico – non sono diretti a volere l’imposizione per legge a tutti di precetti religiosi, ma intendono contribuire ad affinare la ragione, con argomenti di ragione e non di fede, su ciò che risponde veramente alla natura dell’uomo ed alla sua dignità.
FIRENZE – Dopo aver parlato di come i sette vizi capitali sono stati rappresentati da Hieronymus Bosch, illustriamo ora come vengono raffigurate le 7 virtù. Aiutiamoci con i dipinti di Piero del Pollaiolo e Sandro Botticelli (autore della sola Fortezza), attualmente conservati nella Galleria degli Uffizi e originariamente pensati per decorare il Tribunale della Mercanzia di Piazza della Signoria a Firenze.
È fondamentale che nella catechesi si punti più sugli aspetti positivi che su quelli negativi. È tanto facile descrivere (e fare) ciò che è male, quanto è difficile parlare (e fare) del bene. Dobbiamo fare nella nostra pastorale invece una sorta di conversione, una vera e propria metanoia (=cambio di mentalità) di evangelica memoria e sforzarci di parlare del bene.
Ricordiamo che le sette virtù si dividono in teologali e cardinali. Le prime sono tre e vengono così chiamate perché sono infuse direttamente da Dio e hanno Lui come “oggetto”, le rimanenti vengono chiamate cardinali perché sono il cardine di tutte le altre. Tutte vengono rappresentate da figure femminili con particolari attributi iconografici.
Partiamo dalla Fede. Viene rappresentata da una donna che regge in una mano il calice e la patena (spesso si vede l’ostia), mentre nell’altra brandisce una croce. Il suo colore caratteristico è il bianco
La Carità è rappresentata da una donna che allatta il suo bambino (spesso si trovano anche altri pargoli che attingono al seno materno). Nell’altra mano la Carità regge una fiamma, simbolo dell’amore ardente e disinteressato verso il prossimo. Il suo colore caratteristico è il rosso
La Speranza è una donna vestita di verde con le mani giunte e lo sguardo rivolto verso il cielo da dove attende la salvezza. Anche se in questo dipinto manca, il suo caratteristico attributo iconografico è l’ancora dando così rappresentazione alle parole della Sacra Scrittura che in Eb 6,19 afferma: “In essa (cioè nella Speranza) noi abbiamo come un’ancora della nostra vita, sicura e salda”. La forma dell’ancora infine ricorda la croce, speranza di ogni credente.
Passiamo ora alle virtù cardinali iniziando dalla Fortezza. È rappresentata come una donna che indossa un’armatura necessaria per il combattimento contro il male e il conseguimento del bene. Regge in mano uno scettro, simbolo della nobiltà di chi esercita questa virtù. In genere nelle rappresentazioni della virtù compare anche la colonna che sostiene chi vuole essere forte.
La Giustizia tiene in mano il globo, mentre nell’altra regge una spada con la quale applica in modo imparziale le sentenza. Al posto del globo molto più frequentemente si trova la bilancia, simbolo di equità.
La Temperanza è simboleggiata da una donna che stempera il vino con l’acqua.
Infine abbiamo la Prudenza che regge in mano uno specchio col quale si guarda alle spalle. Tale attributo iconografico deriva dal passo del Libro della Sapienza che dice: “La sapienza è uno splendido riverbero della luce eterna, specchio puro dell’attività di Dio, immagine della sua bontà” (Sap 8,26). Nell’altra mano la Prudenza regge un serpente. Anche questo attributo deriva dalla Sacra Scrittura e precisamente dal passo evangelico di Matteo dove Gesù afferma: “Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10,16).
ROMA – Quando si enumerano i 7 vizi capitali, se va bene, all’appello ne manca sempre uno, anche a causa del fatto che sempre meno trovano posto nella catechesi. Effettivamente non è mai piacevole ricordare a noi stessi quali possono essere le nostre pecche. Ecco allora che per digerire meglio il discorso ci può venire in aiuto una piccola ma interessante opera d’arte: I 7 vizi capitali di Hieronymus Bosch. La tavola che misura 120 x 150 cm sarà esposta fino al 2 giugno nell’ambito della mostra “Brueghel. Meraviglie dell’arte fiamminga” al Chiostro del Bramante a Roma.
Nel complesso il dipinto presenta 5 cerchi di cui uno più grande al centro e gli altri posti negli angoli della tavola.
Al centro del primo grande cerchio si può osservare il Cristo, posto in una sorta di occhio che scruta tutti i vizi dell’uomo, come anche ricorda la scritta “Cave cave Deus videt” (=Attenzione, attenzione, Dio vede)
Partendo dal basso e andando poi in senso orario ci imbattiamo nel primo vizio capitale: l’ira (dalla radice indoeuropea eis = impeto, slancio). Essa è rappresentata da due uomini furibondi che se le stanno dando di santa ragione! Una donna, con il capo velato, cerca di calmarne uno.
Segue poi l’invidia (dal latino “videre” col prefisso “in”= guardare in, guardare in modo cattivo). Due cagnolini non si accontentano di alcuni ossi che hanno a portata di mano ma ambiscono ad afferrarne uno più grande tenuto da un signore affacciato ad una finestra. Questi, insieme a sua moglie, guarda, con profonda invidia appunto, un uomo nobile che si diletta con un falco che tiene appoggiato sulla mano destra, mentre un garzone lavora per lui trasportando un pesante sacco. Una giovane donna, presumibilmente la figlia dei due invidiosi, cerca di sedurre e conquistare un uomo ricco (lo si deduce dal grosso sacco portamonete che tiene legato alla vita.
L’avarizia (dal latino “avere” = bramare) è rappresentata da un giudice, vestito con la sua toga, che si fa corrompere da due uomini, mentre altri due, ignari, sono seduti in attesa di giudizio.
La gola viene rappresentata da due villani che si ingozzano a più non posso; uno si scola avidamente un fiasco di vino non facendo neppure uso del bicchiere, l’altro, seduto davanti ad una tavola imbandita, rosica smodatamente un osso mentre un pasciuto fanciullo gli afferra il camiciotto all’altezza della pancia. Come se i due non fossero ancora sazi, una donna porta ancora una portata da mangiare.
L’accidia (dal greco “a-kedia” = non curanza), cioè la trascuratezza nel compiere ciò che è bene e necessario, è rappresentata da un personaggio vestito di verde, comodamente seduto davanti ad un caminetto, con la testa appoggiata su un cuscino. Egli viene sollecitato alla preghiera da una suora che gli porge la corona del Rosario
Due coppie di amanti che si intrattengono sotto una tenda rossa rappresentano il vizio della lussuria (dal latino “luxus” = sfarzo). Essi si divertono guardando le messe in scena di due buffoni.
Infine la superbia (dal latino “superbus” = che sta sopra”) viene rappresentata da una donna che in modo vanitoso si guarda la propria acconciatura in uno specchio che viene sorretto dal demonio.
Sopra al grande cerchio centrale si nota un cartiglio con su scritto: “Gens absque consilio est et sine prudentia / utinam saperent et intelligerent ac novissima providerent” (=È un popolo privo di discernimento e di senno; o, se fossero saggi e chiaroveggenti, si occuperebbero di ciò che li aspetta).
Sotto di esso si vede un altro cartiglio che recita: “Nascondam faciem meam ab eis considerabo novissima eorum” (=Io nasconderò il mio volto davanti a loro e considererò quale sarà la loro fine)
Gli uomini poi devono fare i conti con i 4 novissimi: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso.
La Morte è rappresentata nel medaglione in alto a sinistra. Un sacerdote, insieme ad altri religiosi, sta amministrando l’estrema unzione a un moribondo. Dietro al capezzale si intravvede la morte che col suo dardo sta per trafiggere il morente. Sopra di esso invece un diavolo nero e un angelo si contendono la sua anima.
Il Giudizio è rappresentato nel medaglione in alto a destra. La venuta di Cristo giudice viene annunciata da quattro angeli che suonano altrettante trombe. Al loro suono i morti escono dai sepolcri per risorgere. Sia alla destra che alla sinistra di Cristo c’è uno stuolo di santi.
In basso a sinistra troviamo l’Inferno, dove vengono puniti coloro che hanno perseverato nei vizi.
In basso a sinistra vediamo il Paradiso. Una moltitudine di uomini e di donne vengono introdotti alla presenza dell’altissimo. Davanti alle porte del paradiso Pietro accoglie Adamo ed Eva, simbolo dell’umanità redenta, mentre in primo piano tre angeli suonano degli strumenti che allietano i corpi dei beati
ROMA – Fra poche settimane saremo chiamati alle urne. Dopo il tramonto del partito unico dei cattolici, la presenza di politici che si ispirano ai valori cristiani è presente nei vari schieramenti. Ma qual è la configurazione specifica del politico cattolico? Quale sarà il contributo i cattolici daranno alla vita civile e politica del Paese? Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato Olimpia Tarzia, per anni leader del Movimento per la Vita e oggi a capo di PER (Politica Etica Responsabilità)
Cosa sono chiamati a fare e a dare i cattolici oggi in politica?
La ripresa dell’impegno dei cattolici in politica penso si debba declinare particolarmente in alcuni temi: significato pubblico della fede cristiana, confronto serio con una laicità non ideologizzata, critica alla dittatura del relativismo, recupero e consapevolezza del concetto di legge morale naturale, rifiuto del bene comune inteso come minor male comune e della politica come compromesso al ribasso, rifiuto della ideologia della tecnica, liberazione dei temi dell’ambiente e della pace dal moralismo politico che spesso li strumentalizza, coerenza nell’impegno politico. Credo, ormai, che non si possa più prescindere da una proposta concreta capace di difendere e promuovere i principi non negoziabili e in grado di realizzare concretamente un modello sociale che risponda davvero alle esigenze dei cittadini, attraverso anche il rilancio dell’economia, finalizzato ad assicurare la crescita e l’impiego, l’uguaglianza delle opportunità per l’istruzione dei giovani e l’assistenza ai poveri. E’ da questi principi che deve ripartire, con rinnovato slancio e impegno, l’azione politica dei cattolici nel nostro Paese.
Una buona parte della società italiana (purtroppo) vede i cattolici con lo stesso animo con cui erano visti nell’Inghilterra anglicana ed elisabettiana, cioè come un corpo estraneo alla nazione che tutela gli interessi di un altro stato. Secondo lei, l’impegno dei cattolici può realmente portare dei benefici all’intera comunità?
I cattolici possono offrire un grande contributo alla stabilità del nostro Paese. Il cristianesimo è chiamato oggi a dare un apporto significativo in riferimento anche all’organizzazione istituzionale, legislativa, economica della società. Sono convinta che un cattolico in politica non debba essere ‘un moderato’, bensì ‘moderato’, nel significato più vero, di aggettivo, non di sostantivo, è un modo di essere che non va confuso con l’essere, vuol dire essere capace di porre e non di imporre, essere mite ma determinato, capace di un serio e coraggioso confronto culturale e politico con tutti. La strada che io intravedo per una effettiva presenza e partecipazione dei cattolici nella fase di ricostruzione della politica italiana sta nel consolidare questa identità a tutti i livelli, in un’ottica di sano realismo cristiano che permette di individuare nell’attuale bipolarismo una reale e concreta possibilità di azione.
I tg ogni giorno ci danno notizie di malcostume fra i politici, di privilegi, della stanchezza dei cittadini davanti a tutto ciò. La politica rimane ancora oggi la più alta forma di carità come amava dire Paolo VI?
Indubbiamente c’è la volontà di recuperare quei valori che oggi la politica sembra aver perso di vista, a favore dell’individualismo, del materialismo e del malaffare. Nel panorama generale della politica nazionale agitato da inquietudini ed equilibrismi, spesso incomprensibili al di fuori dei ‘palazzi’, credo che sia necessario ancora sperare in una politica ‘espressione della più alta forma di carità’, credere nella dimensione etica dell’azione politica e realizzare un progetto politico che guarda lontano. Questo è l’obiettivo prioritario del Movimento PER Politica Etica Responsabilità che mi onoro di presiedere.
Di cosa l’Italia oggi ha più bisogno, di politica, di etica o di responsabilità?
Uno dei motivi per cui la crisi economica è così condizionante è perché si fronteggia con una crisi abissale della politica, che ha perso il significato vero e profondo del servizio e sembra non aver più nulla di costruttivo da dire, perché orfana di un progetto culturale. Sono convinta, quindi, che sia’ necessario dosare bene questi tre ‘ingredienti’, coniugandoli e sintetizzandoli in un’unica azione politica. Mi sembra giunto il tempo della responsabilità, della consapevolezza dell’importanza della presenza cattolica nel mondo politico, presenza che ne declini le parole fondanti: politica, valorizzando quegli ambienti come i gruppi, i movimenti, le associazioni; etica, con tutte le questioni implicate, dai comportamenti personali e gli stili di vita, a quelle della vita, della famiglia e della libertà; responsabilità, nell’assumersi l’impegno della difesa e promozione dei principi non negoziabili.
Si parla spesso in tv di valori non negoziabili e sembrano quasi diventati uno spot. Può ricordare brevemente ai nostri lettori cosa sono?
I principi non negoziabili sono stati citati dall’allora cardinale Ratzinger nella nota dottrinale ‘Circa alcune questione riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica’. Principalmente sono: la difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale, della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, del diritto di libertà di scelta educativa, cui seguono anche la libertà religiosa, la tutela dei minori dalle moderne forme di schiavitù, l’economia a servizio del bene comune nel rispetto della sussidiarietà. Sono principi dal forte significato politico, che hanno una grande ricaduta sociale e culturale: sono principi, per l’appunto, non negoziabili e per questo imprescindibili ed inclusivi, perché appartengono all’uomo.
Cosa si può rispondere a quella corrente laic(ist)a che in questo particolare momento storico vorrebbe mettere da parte il tema dei valori non negoziabili a totale favore dei temi economici?
La prima ricchezza di ogni Paese è la nascita di nuovi figli, di nuovi cittadini. In tal modo, il diritto alla vita dell’individuo è integrato nella comunità: un diritto alla vita inteso in maniera totale rispetto alla nuova ondata di quel fenomeno di privatizzazione del matrimonio e della famiglia che, tante volte denunciato, sembra subire negli ultimi anni una nuova accelerazione. Il valore sociale della famiglia e la tutela del diritto alla vita sono fondamento stesso di quei principi democratici derivanti dai diritti umani su cui deve poggiare uno Stato veramente laico, che non intende negoziare sui diritti fondamentali. A quella corrente laicista rispondo che solo recuperando e rilanciando la matrice culturale e antropologica in cui noi cattolici ci riconosciamo, che vede la centralità della persona, il diritto alla vita (dal suo concepimento alla morte naturale) e la soggettività della famiglia assi portanti, solo lottando con tutte le forze nella convinzione che è ancora possibile realizzare il sogno di una società giusta, onesta, da lasciare alle generazioni future, possiamo far risalire il nostro Paese dalla china dello scoramento ed anche, ne sono convinta, restituire speranza e motivi di fiducia nel futuro, elementi base soprattutto per una effettiva ripresa economica. Per delineare le cause della crisi non possiamo solo accusare le banche. La crisi si è amplificata sì a causa di speculatori senza scrupoli, ma anche a causa di una cultura consumistica che ha ‘dopato’ il consumo: si è andata negli anni creando l’illusione che non è necessario legare il consumo al proprio reddito. Una radice della grande crisi finanziaria, che è soprattutto antropologica e morale, la possiamo rintracciare nella spersonalizzazione dei rapporti, e quindi in una crisi di responsabilità: se ‘responsabilità’ viene da ‘rispondere’, nella moderna economia e finanza non troviamo più persone che rispondono alle nostre domande, ma protocolli, carte, calcoli. Una crisi quindi di relazioni, una carestia crescente di beni relazionali. E’, infatti, la relazione gratuita ad essere oggi minacciata d’estinzione, e con essa l’incapacità di incontrarsi nella reciprocità. Torniamo, dunque, al valore della persona e dei suoi valori non negoziabili.
Lei da donna cosa pensa delle donne in politica?
Le rispondo con una citazione di Giovanni Paolo II che ha scritto: ‘Nella svolta culturale a favore della vita le donne hanno uno spazio di pensiero e di azione singolare e forse determinante: tocca a loro di farsi promotrici di un nuovo femminismo che, senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli maschilisti, sappia riconoscere ed esprimere il vero genio femminile in tutte le manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento di ogni forma di discriminazione, di violenza e disfruttamento’. E ancora, nell’udienza privata concessa alla dirigenza del Movimento per la vita italiano il 22 maggio 2003, in occasione del 25° triste anniversario della legge 194/78, che ha legalizzato l’aborto in Italia, il Santo Padre è nuovamente tornato sull’argomento: ‘specialmente a voi, donne, rinnovo l’invito a difendere l’alleanza tra la donna e la vita, e di farvi promotrici di un nuovo femminismo.
ROMA – Dopo le relazioni di S.E. Mons. Rino Fisichela e della Prof.ssa Francesca Cocchini, di taglio prevalentemente teologicoabbiamo, avuto il piacere di ascoltare l’intervento di Anna Maria Tarantola, Presidente della RAI.
L’illustre relatrice ha ricordato come la comunicazione sia nel DNA della Chiesa a partire dal suo stesso fondatore. Gesù Cristo infatti, secondo la Tarantola, ha dato prova con le sue parabole di una straordinaria capacità di comunicazione riuscendo ad attirare l’attenzione dei suoi interlocutori e a suscitare in loro delle significative domande. Questa capacità di comunicare è la stessa che poi hanno avuto i suoi seguaci che hanno trasmesso il suo salvifico messaggio attraverso la tradizione orale, il canto, i riti, le arti figurative. Assai rilevante è il fatto che i vangeli siano stati scritti nella Koiné, la lingua internazionale al tempo di Gesù, come l’inglese lo è nei nostri tempi. Ci può essere, e di fatto c’è, una simpatia fra queste due grandi realtà della comunicazione: la Chiesa e la Rai. La Tarantola ha sottolineato la sensibilità della Rai verso i temi religiosi ricordando le trasmissioni “Uomini e Profeti”, “A sua immagine”, le dirette televisive delle più importanti cerimonie pontificie, il gran numero di fiction a carattere religioso come “Maria di Nazaret”, La fiction più vista nel 2012.
Al termine dell’intervento della Presidente Rai, abbiamo avvicinato Sua Eminenza il Cardinale Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, che ha gentilmente risposto alle nostre domande:
Eminenza, abbiamo ascoltato con viva attenzione gli interventi dei relatori che ci hanno ricordato l’importanza della “Dei Verbum” nella vita della Chiesa. Lei si sente legato in modo particolare a qualche passaggio di questo documento conciliare? Veramente non si tratta di un solo passaggio! Tutto il documentoè di straordinaria importanza! È di una preziosità davvero grande perché ha fatto il punto della situazione del cammino biblico nel tempo. Direi che, come pastore, certamente la parte della Dei Verbum che incoraggia l’uso della Parola di Dio nella vita pastorale, nella vita cristiana è un passaggio molto interessante.
Monsignor Fisichella, durante la sua relazione, ha ricordato l’importanza sia della Sacra Tradizione che della Sacra Scrittura. Questo è un punto forte del patrimonio teologico cattolico. In questo noi cattolici ci differenziamo dai nostri fratelli luterani. Quale può essere l’atteggiamento dei cristiani cattolici per affermare la propria identità e allo stesso tempo aprire il proprio sguardo verso i fratelli luterani? Intanto la Parola di Dio è la base che ci accomuna tutti, e proprio in questi giorni, nei quali celebriamo la settimana ecumenica per l’unità dei cristiani, io credo che attraverso una maggiore conoscenza, anche certi aspetti dottrinali potranno essere lentamente superati
ROMA – Oggi 24 gennaio la Chiesa festeggia San Francesco di Sales, Dottore della Chiesa e patrono dei giornalisti. L’occasione ci è gradita per intervistare il dottor Antonio Gaspari, direttore della agenzia di informazione ZENIT
Ci può presentare con qualche numero ZENIT (www.zenit.org)?
Abbiamo più di ventimila articoli pubblicati ogni anno. Sette edizioni quotidiane e settimanali nelle seguenti lingue: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese e arabo. Quasi 600.000 sottoscrittori. Quindici milioni di mail inviate ogni mese. Milioni di lettori sulla pagina ogni mese. Articoli ripresi da milioni di siti nel mondo. Un capitale di conoscenze unico. Da quindici anni siamo l’unica agenzia che traduce, pubblica e diffonde ogni singola parola pronunciata dal Romano Pontefice e non solo. Più del 40% delle notizie e dei testi che pubblichiamo è originale e unico, cioè è pubblicato solo da ZENIT. Attraverso la nostra agenzia le parole del romano pontefice sono diffuse in maniera integrale in gran parte del pianeta. Se si pensa che siamo nati nel 1997 con un servizio quotidiano in spagnolo che veniva diffuso a 400 sottoscrittori, è evidente che ci troviamo di fronte ad un “fenomeno straordinario” di crescita editoriale.
Cosa sta alla base del successo di ZENIT?
La fede nella Divina Provvidenza, l’umiltà, la professionalità e l’ottimismo , la qualità e le motivazioni alla base del progetto, l’apertura a 360 gradi a tutte le realtà della Chiesa, sia quelle istituzionali che quelle legate ai movimenti, la disponibilità e l’attenzione con cui si cerca di illuminare la mente allargando le conoscenze e accendendo il cuore dei lettori. La crescita di ZENIT è stata favorita anche dall’utilizzo del mezzo telematico, (internet) e dalla capacità di diffondere un prodotto di valore universale in diverse lingue ed in diverse parti del mondo.
Qual è la missione specifica del giornalista cattolico oggi?
La “mission” del giornalista cattolico, oggi come nel passato, è quella di fornire le ragioni del perché crediamo in quell’uomo che diceva di essere il figlio di Dio, cercando e testimoniando verità, giustizia e bellezza. La prima sfida che la modernità ci pone è quella di dare cittadinanza e dignità al giornalismo che si occupa di religione. Ancora oggi in tantissime redazioni si presta attenzione alle notizie che riguardano la Chiesa e alla religione solo se si tratta di scandali e fatti incresciosi. L’approccio concettuale dominante guarda al Romano Pontefice, al Vaticano, alle Conferenze Episcopali, solo come espressioni di un potere pari se non superiore a quello delle diverse componenti politiche. E’ raro trovare chi invece tiene conto delle implicazioni antropologiche, sociali e culturali della religione cristiana nella vita e nella storia delle persone e dei popoli.L’intero contesto è dominato dalla regola del “bad news is good news” mentre il giornalismo cattolico fa conoscere e diffonde la buona novellaindicando e raccontando la buona notizia come la più bella. Il giornalistacattolico non deve accontentarsi di comunicare in modo professionale e onesto. La sua testimonianza deve andare oltre e rivoluzionare il modo di fare comunicazione, raccontando in modo entusiasmante come la buona novella converte i cuori e cambia la storia. Il senso della vita umana non è il tentativo di sfuggire la morte, ma un eroica testimonianza di amore e dedizione verso l’altro che dura nel tempo.
Qual è la notizia che in questi anni ha dato con maggiore piacere ai suoi lettori?
La buona novella noi la scopriamo ogni giorno. Ogni nostra edizione si compone di tante storie belle. Cerchiamo i raggi di luce e calore anche nelle notizie più buie e fredde. Affrontiamo con stupore e entusiasmo ogni notizia. In questo modo comunichiamo la bellezza della vita ai nostri lettori cercando di alimentare in loro la speranza per un mondo migliore.